8 marzo 2022

Migliaccio salato

Migliaccio salato

 migliaccio salato

Rivisitazione salata del celebre migliaccio dolce. Ricetta tipica del periodo di Carnevale campano, chiamato anche “a' Pizza 'e Farenella”. Perfetto come piatto unico o aperitivo. E’ una torta salata a base di semolino e ricotta. A voi la scelta di quale ricotta preferite usare. Io ho usato quella di pecora, leggera e delicata e molto particolare. 

Il migliaccio salato assomiglia un po’ a un gattò di patate, però di patate non ce ne sono. Però può essere un’alternativa nel periodo in cui le patate non sono più adatte per la preparazione suddetta.

Il risultato è una torta salata davvero nutriente, che viene dalla tradizione contadina, genuina e semplice. 

Esistono molte versioni del migliaccio salato, realizzato anche con farina di mais, quella per la polenta, oppure con anche la pasta, preferibilmente mista, da unire all’impasto, inoltre si può fare al forno o friggere… insomma sono molte le varianti esistenti e che variano non solo in base a zona o paese, ma anche da famiglia a famiglia, com’è naturale per le ricette tramandate nel tempo. 

E’ assolutamente goloso, ha una consistenza unica, si scioglie in bocca come una mousse, la provola fila e il salame regala sapidità. Ideale sarebbe spolverare la superficie e la base con pane grattugiato, ma non a tutti piace, così mi sono limitata a cospargere con abbondante parmigiano e fiocchi di burro.

Il bello di questa ricetta è che si può fare con anticipo, far riposare per insaporire, e poi scaldare prima di servire.

 

Ingredienti

500 ml di latte intero

500 ml di acqua

40 g di burro

1 presa di sale

200 g di semola rimacinata di grano duro

3 uova

3 cucchiai di parmigiano

noce moscata

350-400 g ricotta di pecora

200 g di salame tagliato a cubetti

200 g di provola tagliata a cubetti

burro e parmigiano per completare

In una casseruola scaldo il latte e l’acqua con il burro, una presa di sale. Quando sfiora il bollore verso a pioggia il semolino mescolando con una frusta, per non fa creare grumi. Cuocio per 2 o 3 minuti, fino ad ottenere un impasto liscio che si stacca dalla pentola. Metto da parte per far intiepidire, e ogni tanto lo mescolo per non far creare l’odiosa pellicina.

Monto le uova con il parmigiano e la noce moscata grattugiata fino ad avere un composto chiaro e spumoso. Aggiungo la ricotta setacciata e mescolo bene per ottenere una crema. Unisco ora la crema al semolino, in più volte, fino ad ottenere un impasto omogeneo, bello liscio. Unisco il salame e la provola tagliati a cubetti, mescolo per amalgamare bene il tutto.

Trasferisco ora l’impasto in una tortiera da 24 cm, foderata con carta forno, livello la superficie, cospargo con parmigiano grattugiato e fiocchi di burro. Inforno per 60 minuti circa in forno preriscaldato statico a 175°-180° C. Prima di sfornare controllo la cottura con uno stecchino e se serve prolungo la cottura. Il dolce deve rimanere un po’ umido all’interno,ma solo leggermente, lo stecchino non deve uscire con impasto attaccato. I tempi di cottura poi possono aumentare o diminuire in base alla dimensione della tortiera.

migliaccio salato

Consiglio di mangiare caldo o almeno tiepido. Si può anche preparare in anticipo, far riposare per insaporire dopo la cottura (così sarà più facile sformarlo dallo stampo) e poi riscaldarlo prima di consumarlo.

2 marzo 2022

Graffe senza patate, ciambelle fritte

Graffe senza patate, ciambelle fritte

 

graffe senza patate, ciambelle fritte

Le graffe napoletane, sono tipiche ciambelle soffici, fritte, ricoperte di zucchero che si fanno principalmente a Carnevale, anche se ora si trovano quasi sempre.

Le graffe hanno origini antiche, che deriva dai krapfen, diffusi a Napoli durante la dominazione austriaca del 1700. Ma solo nel secolo successivo, i Monsù (i cuochi del tempo) modificarono la ricetta, e il nome krapfen venne italianizzato in graffe, appunto.

Si possono trovare due tipi di impasti con o senza patate. Le graffe con le patate mia nonna li chiamava anche viccilli e sono una vera soffice golosità, li ho fatti molte volte, anzi confesso che si fanno almeno una volta l’anno, è una tradizione. Questa volta, però, per Carnevale, ho voluto fare le graffe senza patate nell’impasto, e sono ottime e soffici anche queste, basta avere alcune accortezze.

In realtà le graffe senza patate le avevo già fatte, ma le avevo cotte al forno. Stavolta rispetto almeno una ricetta fritta per il Carnevale e, insieme a migliacci dolci e salati, preparo le graffe senza patate e fritte.

Le graffe sono le classiche ciambelle fritte da colazione e merenda, realizzata con un impasto lievitato a base di acqua, latte, lievito e farina, dal delicato profumo d’arancia e limone (o vaniglia); prima fritte, poi ripassate nello zucchero semolato, e per me con aggiunta di cannella. Si tratta di una preparazione semplice, l’impasto si può fare anche a mano con un po’ di pazienza, e una volta lievitato, bisogna dare la forma di ciambella, qualsiasi metodo adotterete per dare la forma andrà bene. La consistenza è morbidissima, areata, anche se consistente e compatta, si “strappa” ad ogni morso. Una bontà unica amatissima da grandi e bambini, davvero e in tutti i sensi da leccarsi le dita… dallo zucchero che rimane appiccicato… anche se non è molto bon ton.

Ingredienti

500 g di farina di frumento tipo 0 (W260)

1 cucchiaio di miele di millefiori

10 g di lievito di birra fresco

125 ml di acqua

125 ml di latte intero

50 g di burro

1 uovo

1 presa di sale

buccia di arancia e limone grattugiati

olio per friggere

zucchero e cannella

In una ciotola capiente (o in planetaria) metto la farina, creo una fontana in cui sbriciolo il lievito di birra, unisco il miele e la buccia grattugiata degli agrumi. Poco alla volta verso l’acqua e con un cucchiaio sciolgo il miele e il lievito, poi poco alla volta incorporo la farina. Una volta che la farina avrà assorbito tutta l’acqua aggiungo l’uovo leggermente sbattuto, e lavoro l’impasto per farlo assorbire. Metto anche il sale e il burro, un pezzetto alla volta e aspetto che venga assorbito dall’impasto prima di aggiungerne altro. Lavoro la pasta fino a quando non è ben incordata, elastica e lucida. Sistemo l’impasto nella ciotola, copro con pellicola alimentare e metto a lievitare.

Quando l’impasto ha raddoppiato di volume lo sposto su un piano di lavoro, faccio un giro di pieghe e poi posso procedere in due modi per formare le ciambelle:

stendo l’impasto con un mattarello fino allo spessore di 1,5 cm, poi con un coppapasta rotondo (o un bicchiere) creo i cerchi, all’interno dei cerchi, per fare il buco della ciambella uso un beccuccio di una sac à poche;

oppure divido l’impasto in vari pezzi e allungo ogni pezzo come un cordone o un filoncino poi lo chiudo ad anello. La pasta dei buchi la lascio così, saranno delle palline fritte. La pasta avanzata la impasto di nuovo e procedo a formare altre ciambelle, e palline.

Sistemo le graffe su delle teglie foderate con carta forno, distanziate le une dalle altre, copro con pellicola alimentare e lascio lievitare.

Quando saranno lievitate scaldo l’olio per friggere in una casseruola ampia e dai bordi alti (io uso il wok). Friggo poche ciambelle o palline alla volta, rigirandole, fino a doratura. Poi scolo, faccio asciugare nella carta per fritti, e nel frattempo procedo a friggerne altre. Quelle scolate e asciugate le rigiro nello zucchero semolato con la cannella, e le sistemo su un piatto da portata.

Consiglio di tenere al caldo fino al momento di servire, calde o tiepide sono più buone.

1 marzo 2022

Queen Elizabeth drop scones

Queen Elizabeth drop scones

 Queen Elizabeth drop scones

I drop scones, meglio conosciuti come Scotch Pancakes, sono delle frittelle molto più simili ai pancakes che agli scones. Rispetto ai pancakes cambiano per lo spessore, più alto, e il diametro leggermente inferiore.

La loro storia è affascinante. Fra un’attività e l’altra la Regina Elisabetta II prende doverosamente il tè accompagnandolo con queste focaccine di antichissima tradizione (di cui ne cantò anche Robert Burns, il Bardo di Scozia). Si narra che in occasione della visita del presidente Dwight Eisenhower e sua moglie Marnie al castello di Balmoral in Scozia nel 1959, la regina ha preparato questi scones per loro, usando una ricetta di famiglia. La coppia presidenziale è rimasta molto entusiasta. Successivamente la Regina scrisse una lettera, che è disponibile negli archivi nazionali, "Caro signor Presidente", ha scritto nella lettera, "Vedere una sua foto sul giornale di oggi, in piedi davanti a un barbecue che griglia una quaglia, mi ha ricordato che non le avevo mai inviato la ricetta degli scones che le avevo promesso al Balmoral. Spero che li apprezzerà.”

 

Oltre ai passaggi seguenti, nella sua lettera ha incluso anche alcuni suggerimenti per la cottura. Ad esempio: "Sebbene le quantità siano per 16 persone, quando sono di meno, generalmente metto meno farina e latte, ma uso gli altri ingredienti come indicato". E, "Ho anche provato a usare il golden syrup o la melassa invece del solo zucchero e anche questo può essere molto buono. Penso che l’impasto debba esser ben montato e non deve riposare a lungo prima della cottura”.

A casa siamo appassionate di pancakes e scoperti questi non potevamo non provarli, ma ho dimezzato le dosi degli infredienti. Inotre quale occasione migliore del Pancakes Day!

Questi scotch pancakes sono cicciotti, alti, un pochino più piccoli, ma molto soffici, perfetti a colazione, o anche per l’ora del tè. Personalmente a me piacciono con il miele di castagno.

Ingredienti

200 g di farina debole

1 tsp di bicarbonato di sodio

1 tsp di cremore di tartaro

½ tsp di sale

1 uovo

1 tbs di zucchero

200 ml di latte intero caldo

25 g di burro

In un pentolino scaldo il latte con il burro e il sale. Setaccio la farina con il bicarbonato e il cremore di tartaro. In una ciotola monto l’uovo con lo zucchero fino a farlo diventare chiaro e spumoso, deve aumentare di volume. Verso a filo il latte nell’uovo sbattuto continuando a lavorare con le fruste. Aggiungo infine poco alla volta la farina mescolando con le fruste. Amalgamo bene l’impasto. Copro la ciotola con pellicola alimentare e lascio risposare la pastella per 20 minuti circa.

Ungo leggermente con l’olio o il burro una padella piccola antiderente, asciugo l’eccesso con la carta assorbente, e poi metto a scaldare. Quando la padella è calda verso due cucchiai di impasto, aspetto che si formino le bollicine e giro il pancakes, faccio dorare anche questo lato e poi sposto su un piatto e tengo al caldo. Procedo nella cottura fino a completare tutta la pastella.

Servo ben caldi, ognuno è libero di completare come preferisce i propri pancakes con zucchero a velo, frutta fresca, sciroppi, miele, panna...

Queen Elizabeth drop scones

 

28 febbraio 2022

Migliaccio o Sfogliata

Migliaccio o Sfogliata

 

migliaccio

Un dolce dalla consistenza morbida cremosa a base di semolino ricotta e aromi vari, è assolutamente delizioso, a metà strada tra un flan e una mousse. E’ il ripieno della sfogliatella, infatti viene anche chiamato “sfogliata”. 

Il migliaccio è uno dei dolci di carnevale tipici campani, e non è non fritto per questo periodo in cui sembra sia d'obbligo friggere tutto. Viene fatto nel periodo da Carnevale fino a Pasqua, quasi a omaggiare la primavera.

Ha origini molto antiche legato alla tradizione medievale contadina partenopea. Un tempo veniva preparato con il miglio (migliaccio gluten free), poi è stato sostituito dalla semola rimacinata di grano duro (rimacinata, ossia macinata due volte e quindi di grana fine) ossia il semolino.

Con le dosi indicate negli ingredienti si può usate una tortiera da 20 a 24 cm, a seconda di quanto vi piace alto il dolce. Io ho usato la misura da 20 cm, ed è venuto molto alto, tipo un cheesecake, con la conseguenza che ho allungato i tempi di cottura.

Il migliaccio va poi fatto riposare tutta una notte, io l’ho lasciato dentro lo stampo su una gratella per dolci. Il giorno dopo, molto delicatamente, l’ho sformato e sistemato su un piatto da portata.

Ora a voi la scelta se completare come un cheesecake mettendo della marmellata di arance, o altro… o seguire la tradizione e spolverare con abbondante zucchero a velo prima di servire.

Personalmente, amando il ripieno delle sfogliatelle, ho scelto di seguire la tradizione.

Il migliaccio si conserva poi in frigorifero.

migliaccio fetta

Ingredienti

500 ml di latte intero

500 ml di acqua

40 g di burro

1 presa di sale

una stecca di cannella

buccia grattugiata di 2 arance

buccia grattugiata di 2 limoni

200 g di semola rimacinata di grano duro

3 uova

250 g di zucchero

250 g ricotta (io di pecora)

1 cucchiaino di essenze di millefiori

In una casseruola scaldo il latte e l’acqua con la buccia grattugiata degli agrumi, il burro, una presa di sale e la stecca di cannella. Quando sfiora il bollore spengo e lascio in infusione per qualche minuto. Poi tolgo la stecca di cannella e verso a pioggia il semolino mescolando con una frusta velocemente per non creare grumi (in caso se ne formassero puoi poi passare al setaccio o frullare con frullatore ad immersione). Riporto sul fuoco per 2 o 3 minuti, fino ad ottenere un impasto liscio che si stacca dalla pentola. Metto da parte per far intiepidire, e ogni tanto lo mescolo per non far creare l’odiosa pellicina.

Monto le uova con lo zucchero fino ad avere un composto chiaro e spumoso. Aggiungo la ricotta setacciata e mescolo bene per ottenere una crema. Unisco la crema di ricotta al semolino, in più volte, fino ad ottenere un impasto omogeneo, bello liscio. Per ultimo metto l’essenza di millefiori, mescolo per amalgamare bene il tutto.

Trasferisco ora l’impasto in una tortiera, foderata con carta forno, e inforno per 60 minuti circa in forno preriscaldato statico a 175°-180° C. Prima di sfornare controllo la cottura con uno stecchino e se serve prolungo la cottura. Il dolce deve rimanere un po’ umido all’interno,ma solo leggermente, lo stecchino non deve uscire con impasto attaccato. I tempi di cottura poi possono aumentare o diminuire in base alla dimensione della tortiera.

Il migliaccio va fatto riposare tutta una notte. Poi lo sformo dallo stampo, lo sistemo su un bel piatto e prima di servire spolvero con abbondante zucchero a velo.

23 febbraio 2022

Pissaladière con cipolle rosse, olive nere di Sicilia e filetti di alici

Pissaladière con cipolle rosse, olive nere di Sicilia e filetti di alici

 


pissaladière

Ispirandomi alla ricetta provenzale ho realizzato la mia versione di pissaladière. Resto fedele allo spirito usando però prodotti "locali": scelgo le cipolle rosse, olive nere di Sicilia e filetti di alici sott'olio di oliva.

Uso come base l'impasto della pizza ad alta idratazione e lunga lievitazione e con pochissimo lievito di birra. Lo spessore deve simile a quello di una focaccia, quindi non troppo sottile né troppo alta. La scelta delle cipolle rosse, oltre a essere tra quelle che preferisco, mi consente di non dover mettere zucchero o miele per caramellarle, in quanto sono più dolci di quelle bianche già al naturale.

La pissaladière è un'antica ricetta ricca di storia e leggende. Appartiene alla tradizione del mare e dei pescatori del Mediterraneo, in particolare alto Mediterraneo tra costa francese, Provenza e Liguria di ponente. A seconda del paese il nome cambia, e anche alcuni ingredienti, ma le acciughe e la cipolla, una volta cibi poveri, restano. Si possono trovare le sue tracce nel lontano 1300. Si potrebbe definire, diplomaticamente, focaccia mediterranea.

Il termine “pissaladière” avrebbe origine da peis salat, pesce salato, o da pissalat (o lou pissalat), un’antica preparazione diffusa tra i pescatori della costa mediterranea di cui parlalo scrittore gastronomo Jean-Baptiste Reboul. Reboul, nel suo testo La cuisinière provençale, il primo ricettario popolare di fine Ottocento, indica con "pissalat" una ricetta ben precisa, una conserva di pesce salato in un barile, infatti deriva dall’occitano ‘peis salat’, pesce salato. Per questo motivo in Francia la pissaladière viene anche chiamata la focaccia dei pescatori. Il primo a parlare di pissaladière è Jean-Noël Escudier, ne La véritable cuisine provençale et niçoise (1953), un libro fondamentale per conoscere e preparare la cucina provenzale, in la pissaladière compare tra gli antipasti.

La pissaladière è una soffice focaccia, con base croccante che gioca sulla contrapposizione di gusti decisi e forti dati dalla cipolla caramellata dolce, in contrasto con le alici salate e le olive, un continuo gioco di sapori. Può essere servita tiepida o fredda è ideale come antipasto e per un buffet o per uno spuntino carico di gusto.


Ingredienti

600 g di farina tipo 0 forte (per pane e pizza)

2 g di lievito di birra fresco

420 ml di acqua

10 g di sale

1/4 di cucchiaino di miele

1 kg di cipolle rosse

400 g di filetti di alici sott'olio

40 olive nere di Sicilia

2 cucchiai di olio extravergine d'oliva

25 gr di burro

Timo o erbe di Provenza (facoltative)

Pepe nero macinato fresco

 

Per una lunga lievitazione con riposo in frigorifero comincio a preparare la pasta della focaccia il giorno prima. 

In una ciotola capiente metto la farina, creo una fontana al centro, sbriciolo il lievito di birra, aggiungo il miele. Lentamente sciolgo il lievito e il miele con l'acqua mescolando con un cucchiaio. Poi incorporo la farina lavorando sempre con il cucchiaio. All'ultimo aggiungo il sale e continuo ad impastare con il cucchiaio, quando inizia a prendere corpo continuo a lavorare a mano. Quando l'impasto è ben amalgamato procedo facendo le pieghe in ciotola. Prendo un lembo di pasta e lo porto al centro, ruoto la ciotola di 1/4 e ripeto l'operazione finchè non ho fatto fare il giro completo alla ciotola. Ripeto l'operazione per altre due volte con un riposo di 10-15 minuti l'una dall'altra.

Infine copro con pellicola alimentare e metto a lievitare l'impasto in frigo.

Se si ha "fretta" si può saltare il passaggio in frigo e lasciar lievitare coperto per 8 ore.

Il giorno dopo prendo l'impasto e lo lascio a temperatura ambiente per almeno 30 minuti. Poi lo sposto su un piano di lavoro, faccio un giro di pieghe e lo divido in due parti, rifaccio per ogni pezzo un giro di pieghe e lo rigiro, lo pirlo, fino ad avere un bel panetto tondo. Copro e lascio nuovamente lievitare.

Nel frattempo pulisco e affetto sottilmente, con una mandolina le cipolle. Metto olio e burro in una casseruola a fuoco basso, unisco le cipolle, copro con un coperchio e lascio stufare a fuoco dolce, mescolando ogni tanto. Se piace unire le erbe di Provenza o il timo. Faccio cuocere le cipolle per circa 30 minuti.

Prendo le olive e le snocciolo con l'apposito attrezzo, poi sgocciolo i filetti di alici.

Preriscaldo il forno a 250° C in modalità statica.

Ora prendo due teglie rettangolari, due placche, le ricopro con carta forno che ungo leggermente con dell'olio. Prendo l'impasto e delicatamente, con le mani, partendo dal centro, lo allungo nella teglia. Le misure dovrebbero essere un rettangolo da 25x30 cm e cerco di dare lo stesso spessore a tutta la superficie. Non deve essere steso troppo sottile, più simile a una focaccia, ma non alta. Distribuisco le cipolle in modo uniforme, dispongo i filetti di alici partendo da un angolo e formando una serie di rombi, al centro di ogni rombo metto un’oliva snocciolata.

Inforno una teglia alla volta abbassando la temperatura a 230° C, e faccio cuocere per 15-20 minuti, sul ripiano medio basso. La pissaladière deve prendere un bel colore, ma senza esagerare, e il fondo deve essere croccante. Se si dovesse scurire troppo la superficie impostare il forno con cottura solo da sotto.

Una volta sfornata sposto la pissaladiére su una gratella. Faccio riposare qualche minuto prima di servire calda, o tiepida.


pissaladière

15 febbraio 2022

Panini al latte siciliani ai fiori d’arancio

Panini al latte siciliani ai fiori d’arancio

 

panini al latte messinesi

In una strana circostanza mi trovo a conoscere una signora messinese, con la quale mi ritrovo  conversare e ad aiutarci per una settimana, durante questo anomalo soggiorno. Scopriamo una passione per la buona cucina e i prodotti artigianali made in Sud, così per tirarci su ci passiamo cibarie di diverso tipo. Nel fine settimana le arriva il "pacco da giù" e mi fa assaggiare, oltre le ottime paste di mandorle artigianali, si sciolgono in bocca e per nulla stucchevoli, ma solo la dolcezza della mandorla, dei panini semidolci tipici delle sue parti. Scopro che sono dei panini che si fanno in tutti i forni della zona di Messina, vengono chiamati panini al burro o al latte, sono soffici e si prestano ad essere gustati semplici o farciti. Sono deliziosi sia come merenda dolce che salata.

La forma che fanno i forni per le merende e le colazioni sono dei panini da 100 g nella versione allungata, ma possono essere preparati anche in forma piccola rotonda e sono chiamati “bocconcini al burro”, che vengono utilizzati per essere farciti con i salumi e per arricchire banchetti per feste ed aperitivi.

Questi panini vengono anche usati come base per preparare i viennesi messinesi: ossia il panino al latte farcito con crema pasticciera alleggerita con panna montata o con crema al latte.

Nella ricetta di questi panini si può usare il burro, o lo strutto. Va un po’ a gusto personale.

I panini messinesi sono soffici e profumati, io ho voluto aromatizzarli con essenza di vaniglia e fiori d’arancio, realizzati in piccoli pezzi così sono adatti a spuntini, merende e colazioni, senza troppi sensi di colpa. Una volta raffreddati io li surgelo e li scaldo quando servono, così da averli sempre come appena sfornati, sofficissimi.


panini al latte messinesi

Ingredienti

500 g di farina tipo 0 forte (W260-280)

230-250 ml di latte intero

80 g di burro morbido

1 uovo intero

50 g di zucchero

5 g di miele (io di arancio)

10 g di sale

5 g di lievito di birra fresco

5 gocce di essenza di vaniglia

5 gocce di essenza di fiori d’arancio

3-4 cucchiai di latte e tuorlo per lucidare

In una ciotola capiente setaccio la farina e creo una fontana. Al centro metto lo zucchero il lievito sbriciolato, il miele e parte del latte. Sciolgo il lievito e aspetto una decina di minuti che si attivi.

Posso lavorare l’impasto a mano, ci vorrà un po’ di pazienza, o aiutarmi con una planetaria.

Quando il lievito inizia a fare le bolle, ci vorranno pochi minuti, procedo ad impastare, con il gancio ad uncino, e versando tutto il latte. Aggiungo poi l’uovo leggermente sbattuto, e quando è ben assorbito, inserisco il burro morbido, un pezzetto alla volta, e aspetto che venga assorbito prima di unirne altro. Per ultimo metto il sale le essenze. Continuo ad impastare fino ad avere una pasta elastica, lucida e ben incordata. Formo una palla di pasta, metto in ciotola coperta con pellicola alimentare e lascio lievitare fino al raddoppio del volume. Quando l’impasto è pronto mi sposto a lavorare su un piano di lavoro. Faccio un giro di pieghe e poi divido l’impasto in tanti pezzi tutti dello stesso peso. Io ho scelto di fare dei panini piccoli da 65 g l’uno. Prendo ogni pezzo di impasto, faccio tre giri di pieghe e poi creo la forma di un panino leggermente allungato. Sistemo ogni panino su una teglia ricoperta con carta forno, distanziati l’uno dall’altro. Copro la teglia con pellicola alimentare e faccio nuovamente lievitare fino al raddoppio.

Preriscaldo il forno statico a 180-200° C con un pentolino d’acqua sul fondo. Spennello la superficie e i lati dei panini con tuorlo e latte sbattuti, inforno per 20-25 minuti. Quando pronti sforno e lascio raffreddare su una gratella per dolci.


panini al latte messinesi

10 febbraio 2022

Zuppa di lenticchie nere di Sicilia

Zuppa di lenticchie nere di Sicilia


zuppa di lenticchie nere

 

Adoro le zuppe di lenticchie, è un piatto sano, genuino, semplice, pochi ingredienti per portare a tavola un piatto, che per me, diventa unico, senza tempo, caldo e corroborante.

Qui lo presento in versione gluten free, quindi adatto a tutti e il bello delle lenticchie è che si possono arricchire e insaporire a piacere.

Ho scoperto questa varietà di lenticchie nere di Sicilia, piccole, saporite e molto particolari. Sono un’antica varietà di lenticchie, molto proteica e saporita, io ho provato quelle di Leonforte e anche quelle nere vulcaniche di Pantelleria. La loro coltivazione è molto laboriosa: semina e raccolto viene fatto interamente a mano. Rispetto alle altre varietà di lenticchie questa variante nera è ricca di ferro e vitamina B: se si hanno problemi di pressione bassa possono fare miracoli, inoltre possiede meno grassi e possono rilasciare più fibre.

Hanno sapore e colore intenso: quelle di Leonforte (o delle colline di Enna) Di media grandezza e nere come il carbone quando sono crude, una volta cotte assumono un bell’aspetto brunito, quelle di Pantelleria sono di colore marrone-rossastro, di piccolo calibro, rotondeggianti e hanno bisogno di un terreno vulcanico.

Io le ho usate entrambe e mi hanno conquistato. Sono più care rispetto ad altre varietà di lenticchie, ma confesso che io le preferisco. Inoltre si sposano bene con una varietà di ingredienti, oltre ad essere perfette così da sole come protagoniste.

La zuppa la si può servire più densa, tipo lenticchie in umido, o più brodosa, va a gusto personale.

Per comodità io sciacquo le lenticchie sotto l’acqua e poi le faccio bollire con una costa di sedano, la proporzione che uso è 1:3 ossia per 100 g di lenticchie uso 300 g di acqua. Una volta pronte le divido, porziono, in vasetti e surgelo quelle che non uso.

Pochi e semplici ingredienti per una pietanza sana, gustosa e genuina e adatta anche agli intolleranti del glutine, avendo usato la patata al posto di crostini o pasta.

Ingredienti per 4 persone

200 g di lenticchie nere

1 costa di sedano

600 ml di acqua

4 patate piccole

1 cipolla piccola

1-2 cucchiaini di concentrato di pomodoro (o pomodorini)

2 cucchiai di olio extravergine di oliva

1 piccolo peperoncino (se piace)

1 cucchiaino di curcuma

sale e pepe q.b.

Per prima cosa sciacquo le lenticchie per togliere le polveri. Le metto poi in una casseruola capiente con la costa di sedano pulita e 600 ml di acqua, porto a bollore e faccio cuocere per 20-30 minuti. Poi spengo e lascio intiepidire.

Nel frattempo in una casseruola soffriggo a fuoco dolce nell’olio il peperoncino, la curcuma, la cipolla tritata sottilmente. Quando la base è pronta aggiungo le patate tagliate a pezzetti e le lenticchie già lessate, il concentrato di pomodoro, ricopro con dell’acqua, metto un coperchio e faccio cuocere a fuoco medio basso. Il sale lo unisco all’ultimo per non far indurire le lenticchie. Cuocio finché le patate non saranno pronte. A gusto posso lasciare la zuppa più brodosa o più asciutta. Ora aggiusto di sale. Porto in tavola ben caldo e chi gradisce può aggiungere pepe nero macinato fresco.

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