Visualizzazione post con etichetta Dolci. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Dolci. Mostra tutti i post

30 settembre 2025

Il gelo al limone e "Il matrimonio del mio migliore amico"

Il gelo al limone e "Il matrimonio del mio migliore amico"


un budino di gelo al limone decorato con una fettina di scorza di limone candita servito su un piatto artigianale con i colori dell'acqua su un tavolo di granito verde grigio


Tra i dolci che raccontano la Sicilia attraverso freschezza e poesia, il gelo al limone occupa un posto speciale. Non è soltanto un dessert: è una storia tramandata da secoli, fatta di agrumi luminosi, leggende e quell’arte tipicamente isolana di trasformare la semplicità in raffinatezza. 

Il suo nome potrebbe trarre in inganno: gelo, infatti, si riferisce alla consistenza gelatinosa con la quale si presenta e non al fatto che viene servito freddo.

In un’epoca in cui il dolce tende spesso alla complessità e alla spettacolarità, questo dessert richiama alla memoria l’essenziale: raffinato, semplice, elegante e il profumo inebriante e inconfondibile del limone.


Origini tra Arabi e leggende d’amore

La storia del gelo affonda le radici nella dominazione araba della Sicilia (IX-XI secolo). Gli arabi introdussero l'uso degli agrumi e tecniche di arte pasticcera usando gli amidi, acqua di fiori, dando così le basi per molti dolci oggi famosi. 

Il concetto di "gelo" (dal latino gelu, "ghiaccio" o "congelamento") si riferisce, appunto, a una preparazione gelatinosa ottenuta tramite l'uso di amidi che conferiscono al liquido una consistenza morbida e liscia.

Accanto alla storia, vive una leggenda romantica: il dolce avrebbe preso forma come pegno d’amore per Eleonora D’Angiò, regina consorte del Regno di Sicilia nel Trecento, a cui un ufficiale,  innamorato segretamente, dedicò questa preparazione delicata e profumata.

Fra verità storica e mito popolare, il gelo conserva l’anima della Sicilia: un incontro di culture, passioni e creatività gastronomica.


Il gelo al limone come metafora d'identità

Pensando al gelo al limone, immediatamente mi è venuta in mente la nota scena di Julia Roberts che usa una metafora gastronomica nel film "Il matrimonio del mio migliore amico", una commedia romantica degli anni ’90 che vede la protagonista in un gioco sottile tra amicizia e amore. 

In questa scena, Julia Roberts, per spiegare le dinamiche dei sentimenti, usa una metafora culinaria: da una parte c’è la gelatina, dall’altra la crème brûlée. La gelatina è fresca, leggera, divertente; la crème brûlée sofisticata, perfetta. Sembrano opposti inconciliabili, eppure proprio in quella contrapposizione si annida il cuore del film: una metafora simbolica per spiegare le complicazioni del cuore.

La gelatina, il cui termine intendiamo vicino al "gelo" siciliano e in particolare al gelo al limone, non è una semplice gelatina, rischiamo di sottovalutarlo: il gelo siciliano è una signora gelatina, elegante senza essere pretenziosa, solare ma senza risultare stucchevole, è irresistibile e non stanca mai.

Riprendendo la teoria di Fabrizio Mangoni sulla fisionomica dei dolci, nel film Julia Roberts è la nostra gelatina, o meglio, il nostro gelo al limone, semplice, autentico, sincero e meno appariscente ma indimenticabile, mentre Cameron Diaz è la complessa, sofisticata, perfetta, artificiosa e inarrivabile crème brûlée. Questa metafora culinaria esprime tutta la complessità emotiva delle relazioni. Una rilfessione che si abbina bene con l'essenza del gelo al limone: un dolce semplice, dalle umili origini e popolari, che conquista con la sua naturalezza e freschezza.


Il Film: "Il matrimonio del mio migliore amico"

locandina "Il matrimonio del mio migliore amico"

Uscito nel 1997, Il matrimonio del mio migliore amico (My Best Friend’s Wedding), diretta da P. J. Hogan, è una delle romance comedy più amate degli anni ‘90. 

La trama è semplice ma spietata: Julianne (Julia Roberts) scopre all’improvviso che il suo migliore amico Michael (Dermot Mulroney), con cui ha sempre avuto un legame profondo ma platonico, sta per sposarsi con la giovane e perfetta Kimberly (Cameron Diaz). Presa dal panico e da un sentimento che non aveva mai voluto ammettere, Julianne decide che deve fermare quel matrimonio. In una serie di situazioni comiche, romantiche e sempre più disperate, Julianne tenta di sabotare le nozze... ma nulla va come previsto e, durante il percorso, scopre di dover mettere in discussione sentimenti, amicizia e crescita personale.

A contribuire al successo del film è anche il personaggio interpretato da Rupert Everett, l'amico gay di Julianne, George, e le canzoni del film co-protagoniste di situazioni divertenti.

La scena che tutti ricordano (oltre al karaoke disastroso di Cameron Diaz e il pranzo con “I Say a Little Prayer”) è quella in cui Julianne paragona sé stessa e Kimberly a due dessert molto diversi. Julianne spiega a Kim il motivo per cui Michael sceglierebbe la gelatina invece di una crème brûlée al ristorante: 

Julienne: Tu sei Michael, sei in un famoso ristorante francese e ordini crème brûlée come dessert: è bella a vedersi, è dolce, è insopportabilmente perfetta. All'improvviso Michael si rende conto che non "vuole" la crème brûlée... no, vuole un'altra cosa.

Kim: E che cosa vuole invece?

Julienne: Gelatina...

Kim: Gelatina?! Perché la gelatina?

Julienne: Perché è più di suo gusto la gelatina! La gelatina risponde di più ai sui gusti, capisco che in confronto alla crème brûlée è solo gelatina, ma probabilmente è quella che ci vuole per lui.

Kim: Posso diventare gelatina!

Julienne: No, la crème brûlée non sarà mai gelatina, tu non potrai mai essere gelatina!

Kim: Devo diventare gelatina!

Julienne: Tu non diventerai mai gelatina!


Questo dialogo è diventato leggendario perché racchiude il cuore del film: non sempre si può essere ciò che l’altro desidera.

Il matrimonio del mio migliore amico è una commedia romantica anomala: il finale non è quello che ci si aspetta. Non c’è la confessione d’amore ricambiata, non c’è il bacio finale sotto la pioggia. C’è invece un abbraccio, un’ammissione, una rinuncia. Una scelta dolorosa, ma necessaria.

Il film è apprezzato per il suo equilibrio tra umorismo ed emozione, dialoghi brillanti e personaggi ben costruiti. La sceneggiatura tocca temi universali come l'amore non corrisposto, la lealtà e la scoperta di sé. È un film dalle sfumature realistiche e ironiche, che raccontano i rapporti veri con profondità e spensieratezza. In un panorama di commedie romantiche che spesso seguono schemi rigidi, questo film osa dirci che non tutte le storie d’amore sono destinate a essere vissute, e che va bene così.

 La ricetta del gelo al limone


un budino di gelo al limone decorato con una fettina di scorza di limone candita servito su un piatto artigianale con i colori dell'acqua su un tavolo di granito verde grigio

La ricetta del gelo al limone è molto semplice, quasi un rituale. Viene tramandata di generazione in generazione. 

Ingredienti semplici e profumati: limone, succo e scorza, zucchero, amido e acqua, cotti a fuoco lento fino a ottenere una consistenza gelatinosa, vellutata e setosa. 

È un dolce dal gusto ricco che si scioglie in bocca: un dolce non dolce e la nota agrumata aspra e rinfrescante alla fine fa venire il desiderio di volerne ancora.

Non mancano, ovviamente, rielaborazioni del dolce al cucchiaio inserendo consistenze diverse, abbinamenti diversi e giocando sull'impiattamento.

Lasciando a te la scelta, io ti propongo la ricetta classica, sia in versione al piatto che in versione pret a porter nel vasetto, entrambe però monoporzione.

Fai solo attenzione che la versione al piatto è molto delicata da sformare dallo stampo, ma è il prezzo da pagare per la sua eleganza e bellezza quasi eterea.

Ingredienti

  • 1 l di acqua
  • 4 limoni grandi non trattati
  • 220 g di zucchero
  • 90 g di frumina o amido di mais o di riso
  • buccia di limone candita o pistacchi tritati per decorare, fiori di gelsomino o foglioline di menta, facoltativo
Procedimento

Metti in infusione la buccia di 2 limoni (solo la parte gialla) nell'acqua fredda per almeno 2 ore, meglio se li lasci tutta la notte, per concentrare gli aromi.

Versa in una casseruola l'acqua, dalla quale hai tolto le bucce di limone, il succo dei 4 limoni filtrato e l'amido setacciato, mescola bene poi aggiungi lo zucchero. 

Porta a ebollizione, a fuoco lento, mescolando continuamente con una frusta da pasticciere affinché non si formino grumi. Raggiungi l'ebollizione, e continua a mescolare fino a ottenere una crema liscia e gelatinosa. Togli la casseruola dal fuoco e lascia intiepidire prima di versare il gelo alimone negli stampi scelti.

Una volta freddo metti gli stampi in frigorifero per almeno 6 ore prima di servire.

Puoi decorare, prima di servire il gelo al limone, con dei pistacchi tritati grossolanamente, con un scorzetta di limone candita, un fiore di gelso, che ne esaltano il profumo e il colore, oppure anche nulla, nella sua elegante semplicità.

22 agosto 2025

I fiocchi di neve di Poppella: la dolce storia napoletana e la versione fatta in casa...

I fiocchi di neve di Poppella: la dolce storia napoletana e la versione fatta in casa...


 
primo piano di un fiocco di neve intero e una metà che mostra il cremoso ripieno di latte, in secondo piano altra metà della brioche e altri fiocchi di neve interi, su vassoio in ardesia su runner bianco grezzo con disegnai in argento degli abeti


Napoli ha sempre saputo stupire con la sua pasticceria: dalla sfogliatella al babà, ogni dolce racconta una storia fatta di tradizione, passione e un pizzico di segreto. Ma tra le creazioni più recenti che hanno conquistato il cuore (e il palato) di migliaia di persone, c’è un dolce tanto semplice quanto irresistibile: il fiocco di neve di Poppella.


Il fiocco di neve è una piccola brioche dalla consistenza soffice, farcita con una crema leggera e bianca a base di latte, panna e ricotta; ed è diventato celebre grazie alla Pasticceria Poppella nel Rione Sanità di Napoli, dove Ciro Scognamillo ha perfezionato la ricetta originale nata due generazioni prima di lui. Sembra che il ripieno sia arricchito da un ingrediente segreto che dona un tocco unico alla crema, racchiusa in una pasta di brioche delicata e areata.

La storia dei fiocchi di neve

Il fiocco di neve nasce nel cuore del Rione Sanità, uno dei quartieri più autentici e vibranti di Napoli, dove tradizione, cultura popolare e gastronomia si intrecciano quotidianamente. 

In questo angolo della città, la storica Pasticceria Poppella, fondata nel 1920, è diventata negli ultimi anni un punto di riferimento nazionale grazie a una piccola, sofficissima creazione: il fiocco di neve.

La pasticceria fondata da Raffaele Scognamillo, soprannominato “Papele”, e da sua moglie Giuseppina Evangelista, detta “Puppnella”, la pasticceria prende il nome proprio dall’unione dei due soprannomi: Poppella.

Negli anni, la famiglia Scognamillo ha portato avanti l’attività con dedizione e passione, attraversando tre generazioni. Ma è solo con l’arrivo di Ciro, terza generazione, e l’invenzione del fiocco di neve (perfezionando la ricetta familiare) nel 2015 che la pasticceria ha conosciuto una nuova epoca d’oro, facendo uscire il suo nome dai confini del Rione Sanità e portandolo tra le eccellenze dolciarie italiane. In poco tempo, il fiocco di neve ha conquistato Napoli, poi la Campania, infine tutta Italia, diventando un vero e proprio fenomeno virale, con file chilometriche davanti alla pasticceria e fan disposti a viaggiare per assaggiarlo.

Oggi i fiocchi di neve sono simbolo di identità partenopea contemporanea: moderni nella concezione, ma profondamente radicati nella cultura del territorio. Un perfetto esempio di come innovazione e tradizione possano incontrarsi, dando vita a qualcosa di unico.


La ricetta dei fiocchi di neve fatti in casa su ispirazione di Poppella

Questa non è la ricetta originale del pasticciere Poppella, ma un'interpretazione fedele nello spirito e nel gusto. Questo perché la ricetta dei fiocchi di neve è segreta e gelosamente custodita nella pasticceria di Poppella a Napoli.

In giro troverai tantissime versioni e procedimenti differenti, a grandi linee simili, ma ogni versione si differenzia in qualcosa.

Per ottenere una brioche morbida e ariosa come quella del fiocco di neve, è essenziale seguire alcuni accorgimenti. L’impasto va lavorato a lungo e lasciato lievitare lentamente, spesso con un doppio processo di lievitazione, che permette alla brioche di sviluppare la sua struttura soffice. La cottura attenta a una temperatura moderata assicura una consistenza leggera e ben alveolata, perfetta per accogliere una crema morbida senza perdere la sua forma.

Seguendo questi accorgimenti io ho fatto fare una lunga lievitazione in frigorifero per tutta la notte alle brioche già porzionate e formate in piccole sfere. Il giorno dopo le ho lasciate poi a temperatura ambiente per almeno un paio d'ore prima di infornarle.

Il fiocco di neve è semplicemente un panino di pasta brioche morbida e soffice, spolverato con zucchero a velo e farcito con una crema fredda a base di latte. Ma proprio in questa sua semplicità è la sua arma vincente. Ricorda una coccola, ha profumo di buono, la sua consistenza unica: un morso e ci si ritrova in un sogno leggero e vellutato. 

Ingredienti 


Pasta brioche

  • 500 g di farina tipo 0
  • 110 g di zucchero
  • 2 uova
  • 1 tuorlo
  • 15 g lievito birra fresco (o 5 g lievito birra secco)
  • 160 g latte
  • 90 g burro
  • semi baccello di vaniglia (o qualche goccia di estratto di vaniglia)
  • tuorlo e 20 g di latte per spennellare
Crema di ricotta
  • 220 g di ricotta vaccina
  • 220 g di panna liquida fresca
  • 40 g di zucchero a velo
  • 10 g miele
Crema di latte
  • 300 ml di latte intero
  • 40 g di frumina (o altro amido)
  • 90 g di zucchero
  • qualche goccia di estratto di vaniglia
Decorazione
  • zucchero a velo

Procedimento

Prepara l'impasto mettendo nella planetaria il latte le uova e il tuorlo leggermente sbattuto e il lievito sbriciolato e amalgama fino a sciogliere quest'ultimo.

Aggiungi lo zucchero e fallo sciogliere, poi unisci la farina e lascia impastare a media velocità per una decina di minuti.

Incorpora ora il burro a pezzetti morbido, poco alla volta, lasciandolo ben assorbire, infine metti il sale e la vaniglia.

Quando l'impasto è morbido ed elastico mettilo in una ciotola, coperto con pellicola alimentare, e fai lievitare per un'ora.

Ora taglia l'impasto in pezzi da 40 g l'uno e forma delle sfere. Sistema ogni sfera su una teglia rivestica con carta forno, copri con pellicola alimentare e lascia lievitare fino al raddoppio.

Spennella la superificie dei panini con latte e tuorlo sbattuti insieme e inforna a 170° C in modalità statica per 12 minuti.

Per la crema di latte scalda in un pentolino il latte, metti lo zucchero e l'amido, mescola per far sciogliere bene e non avere grumi, poi aggiungi la vaniglia (semi o estratto). Metti su fuoco basso e mescola fino a quando il composto non si sarà addensato.

Trasferisci la crema in una ciotola e copri per pellicola alimentare a contatto, e lascia raffreddare.

Con una frusta lavora la ricotta con miele e zucchero a velo fino ad ottenere una crema. Aggiungi la crema di latte raffreddata e amalgama bene. Infine unisci la panna semimontata.

Trasferisci la crema ottenuta in una sac à poche con bocchetta liscia.

ATTENZIONE: i fiocchi di neve vanno farciti caldi, appena sfornati, perché solo in queto modo l'impasto nterno cede facilmente lasciando spazio alla crema.

Sfornati i fiocchi di neve procedi subito a farcirli facendo un buchino nella parte inferiore della brioche e riempiendo con la crema.

Lascia raffreddare i fiocchi d neve per un'ora poi servili con una generosa spolverata di zucchero a velo.


fiocchi di neve visti dall'alto, due interi euno a metà che mostra il cremoso ripieno di latte, su vassoio di ardesia, su runner bianco a trama grezza con disegnati in argento degli abeti sul lato lungo


N.B. I fiocchi di neve si conservano per un 2-3 giorni in frigorifero chiusi in un contenitore ermetico, anche se perderanno un po' della loro caratteristica leggerezza e ariosità.

Le brioche vuote si possono anche congelare.

La crema di conserva per 2-3 giorni in frigorifero.


18 ottobre 2024

La mia Tarte Tropézienne

La mia Tarte Tropézienne


tarte tropézienne a forma di margherita farcita con crema diplomatica, su piatto di portata con mano di lato


La Tarte Tropézienne è un dolce francese simbolo dell’eleganza e della Costa Azzurra, di Saint Tropez in particolare, è anche associato a Brigitte Bardot, una delle dive più amate del cinema.

La sua storia è un connubio perfetto tra tradizione, innovazione e fascino. Un dolce che ha saputo conquistare il cuore di milioni di persone con la sua morbida brioche e la delicata crema, e continua a essere un'icona della pasticceria francese.

La storia della Tarte Tropézienne

Tutto ha inizio negli anni '50, quando Alexandre Micka, un pasticcere di origini polacche, decide di aprire una boulangerie-pâtisserie a Saint-Tropez. Crea una deliziosa brioche farcita con crema pasticcera, leggera e profumata: la ricetta è un’eredità familiare, gli è stata tramandata dalla nonna. Ben presto questo semplice ma particolare dolce diventa la specialità della sua pasticceria.

Nel 1955 il pasticciere Micka è il fornitore ufficiale dei pasti della troupe cinematografica del film “Et Dieu… créa la femme” di Roger Vadim. La golosa Tarte conquista tutti e in particolare Brigitte Bardot. L’attrice ne è talmente entusiasta che suggerisce a Micka di dare un nome a questo golosissimo dessert: “Tarte de Saint Tropez”, in seguito semplicemente “Tarte Tropézienne”.

Rapidamente la Tarte Tropézienne diventa un simbolo dell’eleganza e di Saint Tropez, la sua notorietà si diffonde in tutto il mondo e la ricetta originale viene custodita e tramandata. Per proteggere la sua creazione, Alexandre Micka decise di depositare il marchio "Tarte Tropézienne".

Caratteristiche della Tarte Tropézienne

La Tarte Tropézienne è una brioche morbida, burrosa e soffice che si scioglie in bocca, farcita con una crema pasticcera leggera e profumata, e per compleatre una spolverata di zucchero a velo. La sua crosta è dorata e croccante, mentre l'interno è morbido e cremoso. Il contrasto tra le due consistenze, unito al sapore delicato della crema, la rende un dolce irresistibile. La forma classica caratteristica è leggermente rotonda e schiacciata.

Questo capolavoro di dolcezza è un dolce protetto, infatti ha ottenuto la denominazione di origine protetta (IGP) a garanzia della sua autenticità e della sua qualità.

Ovviamente col tempo molti pasticcieri si sono cimentati nella produzione del dolce e a lasciare il segno con qualche personalizzazione nelle aromatizzazioni, crema o forma.

Vuoi provare a prepararla a casa?

tarte tropézienne a forma di margherita con mano di lato

La ricetta

La ricetta originale della Tarte Tropézienne è segreta e tale rimane, però si possono trovare varie versioni che si avvicinano all’originale e le rivisitazioni di molti pasticcieri. Ad esempio Cedric Grolet le dà una forma floreale e arricchisce la crema pasticciera con mascarpone e panna, altri usano la chiboust, ossia una crema pasticciera con meringa all’italiana. Qualcuno usa la diplomatica, la crema pasticciera con la panna e chi la mousseline, la pasticcera con burro. Ma non finisce qui: c’è chi bagna la base della brioche con l’acqua ai fiori d’arancio e chi profuma solo la crema, qualcuno cuoce subito la brioche e qualcuno invece la fa riposare almeno una notte.

Quale fare? Quale la migliore?

La migliore è sicuramente quella che incontra maggiormente il nostro gusto personale: una soffice pasta brioche ricoperta di granella di zucchero croccante che racchiude una delicatissima crema, questo è quello che hanno in comune tutte le Tropézienne!

Arriviamo così alla mia versione che ricorda, da lontano, una margherita e quindi le forma a fiore di Cedric Grolet (ovviamente molto più bella). La brioche, soffice e burrosa, l’ho profumata con zest di arancia e poi farcita con una crema diplomatica aromatizzata con vaniglia, limone e essenza di fiori d’arancio.

Sono stata molto parca in zucchero, e ho ottenuto così una Tropézienne davvero deliziosa, non mi resta che lasciarti la ricetta.

Ingredienti


Per l’impasto brioche
  • 250 g di farina di frumento tipo 0 (12,5% di proteine)
  • 200 g di burro a temperatura ambiente
  • 160 g di uova intere
  • 30 g di zuchero semolato fine
  • 3,5 g lievito birra disidratato
  • Buccia arancia grattugiata
  • Latte per spennellare la superficie
  • Granella di zucchero
Per la crema diplomatica
  • 220 g di latte intero
  • 40 g di tuorli
  • 40 g di zucchero semolato
  • 20 g di amido di frumento
  • 4 g agar agar (o gelatina bloom 200)
  • Buccia di limone
  • Bacca di vaniglia
  • 1 cucchiaino di essenza di fiori d’arancio
  • 200 g di panna fresca da montare

Procedimento

Per la pasta brioche

Nella ciotola della planetaria, munita di gancio a uncino, setaccia la farina, aggiungi il sale, lo zucchero e il lievito. Avvia la planetaria, lascia che le polveri si mescolino, poi aggiungi gradualmente le uova leggermente sbattute.

Appena le uova saranno state assorbite unisci, a media velocità, il burro a cubetti un po’ alla volta. Continua ad aggiungere il burro a mano a mano che il precedente è stato incorporato.

Per ultimo unisci all’impasto lo zest d’arancia.

Tieni la velocità della planetaria medio-alta e fai lavorare. Ogni tanto spegni la macchina, stacca l’impasto dalle pareti della ciotola, e fai ripartire. Ci vorranno circa 20/25 minuti. Fai attenzione alla temperatura dell’impasto che non salga sopra i 24° C, se così fosse fai raffreddare in frigorifero la ciotola per qualche minuto.

Quando l’impasto sarà ben incordato, si aggrappa al gancio e sbatte sulle pareti della ciotola, è pronto per essere coperto con pellicola alimentare e lasciato a temperatura ambiente “a puntare”, dovrà raddoppiare il volume.

Metti ora la ciotola in frigorifero e lasciala per tutta la notte (almeno 10 ore).

Il giorno dopo estrai l’impasto dal frigo e lascialo a temperatura ambiente per 30 minuti, poi rovescialo su un piano di lavoro e dividilo in parti uguali dello stesso peso. Con ogni parte forma quello che sarà poi il petalo del fiore: crea un ovale e allunga una delle estremità. Procedi con tutte le parti della brioche.

Ora sistema i “petali”su una teglia, rivestita con carta forno, con le parti strette che convergono verso il centro, uno vicino all’altro. Per far mantenere la forma puoi anche aiutarti con un anello d’acciaio traforato a forma di fiore.

Copri con pellicola alimentare e lascia lievitare fino al raddoppio.

Spennella la superficie con del latte e cospargi con granella di zucchero.

Cottura in forno preriscaldato statico a 165° C per 20/25 minuti. Poi sforna e lascia raffreddare. Se hai usato un anello per la forma toglilo, passando prima un coltello lungo i bordi.

Per la crema diplomatica

In una casseruola scalda, portandolo quasi a ebollizione, il latte con la buccia di limone, una bacca di limone e l’essenza di fiori d’arancio. Lascia in infusione.

Nel frattempo monta i tuorli con lo zucchero e poi aggiungi l’amido di frumento setacciato, sciogliendolo bene.

Filtra un po’ di latte sul composto di uova e mescola bene con la frusta. Quando hai amalgamato aggiungi il resto del latte filtrato.

Versa il composto nuovamente nella casseruola e cuoci mescolando continuamente fino a quando la crema non inizia ad addensarsi. Unisci l’agar agar, mescola bene e raggiungi gli 82° C.

Ora sposta la crema in un altro contenitore, copri con pellicola a contatto e conserva in frigo per almeno un’ora.

Monta la panna: deve risultare montata a neve ma non ben ferma. Trasferisci un terzo della panna nella crema pasticcera e incorporala lavorando il composto con una frusta allentando il composto. Poi aggiungi un altro terzo e, sempre con la frusta, amalgalo con movimenti che vanno dal basso verso l’alto. Infine ripeti con l’ultimo terzo di panna.

Trasferisci la crema diplomatica in una sac à poche munita di bocchetta liscia da 10 mm e trasferisci in frigorifero fino al momento di utilizzo.

Montaggio del dolce

Taglia la brioche con un coltello seghettato poco sopra la metà (la parte superiore non deve essere molto pesante).

Nella parte inferiore della brioche, iniziando dai bordi e andando verso il centro, dosa la crema creando delle “boulle” (palle).

Prima di appoggiare la calotta superiore sulla crema, riponi in frigorifero per 15 minuti.
Poi copri e spolvera con lo zucchero a velo.




11 marzo 2024

Ferni, crema dolce al cardamomo e fiori d'arancio

Ferni, crema dolce al cardamomo e fiori d'arancio



due vasetti con il ferni, la crema dolce al cardamomo e fiori d'arancio decorata con granella di pistacchi, sullo sfondo il libro "Le cuoche che volevo diventare"


 Il ferni è una crema al latte dolce di origine afgano molto profumata, un comfort food da cucchiaio con note croccanti e colorate date dai pistacchi e dalle mandorle tritate sistemati sulla superficie per decorare.

Con il progetto #frameofbreak con Gioia e Gabriella questo mese ci siamo date come tema le donne che raccontano il cibo.

Gioia, sul suo nuovo blog Gioia Barbieri, ci parla del libro "Un filo d'olio" di Simonetta Agnello Hornby, accompagnandolo a dei deliziosi biancomangiare. Secondo me Simonetta Agnello Hornby è una delle più grandi food writer dei nostri tempi. In tutti i suoi libri c'è un'attenzione alla descrizione e alla cultura del cibo e della tavola che definirei squisita.

Gabriella, su Homework and Muffin, accompagnata da una torta tenera ci racconta de "I biscotti di Baudelaire" di Alice B. Toklas, un libro di ricette ma non solo.

Per quanto riguarda me tra le varie scelte tra libri e film, alla fine ho optato per una chicca che ho scovato in libreria, un piccolo gustoso libro di Roberta Corradin "Le cuoche che volevo diventare" e da cui arriva la ricetta del fermi la crema dolce, da me rivisitata in un'aroma.

Il libro "Le cuoche che volevo diventare" 

"Le cuoche che volevo diventare" è edito da ET Einaudi nel 2008.

L'autrice, Roberta Corradin è una traduttrice di narrativa e saggistica, scrive di viaggi e cucina.

In questo libro, di un centinaio di pagine o poco più, l'autrice incontra ventuno grandi donne che si raccontano attraverso i loro piatti.

Il libro inizia con la singolare riflessione che la parola chef non ha un equivalente al femminile. Non importa se le donne di cui racconta sono grandi cuoche e alcune anche stellate, loro restano comunque cuoche. 

Spesso si dimentica che dietro ogni chef ci sono state mamme, nonne, zie, cuoche che hanno formato e dato i primi imprinting a questa persona. Bene o male si ritorna sempre alla cucina dei ricordi, a quella che ci emoziona, a quella che ha lasciato il segno.

Il libro è un viaggio, fisico e psichico. Fisico mentre la voce narrante si sposta per andare a incontrare le donne cuoche, ognuna con una sua storia, da ognuna impara qualcosa, alcune diventano anche amiche. Altre cuoche le incontra lungo il viaggio per caso. 

L'incontro e lo scambio con ciascuna di queste donne aiutano a ritrovare un pezzetto di sé.

Ma la voce narrante ringrazia anche le cuoche che "non vuole diventare", perché le hanno permesso di capire e di orientarsi e anche loro le hanno insegnato qualcosa.

Andando avanti con i racconti la voce narrante inizia a diventare un personaggio vero e proprio, nel momento finale (non realistico) in cui decide di dare una svolta e da food writer diventare lei stessa una cuoca. Il viaggio è anche un ritorno. 

Il libro è assolutamente piacevole da leggere, ed è un viaggio anche per noi lettori con diversi spunti di riflessione. Impossibile non provare almeno una ricetta o anche più di una, e di non lasciarsi guidare da quella voce narrante.

La ricetta del mio Ferni


vista dall'alto primo piano di un cucchiaino contenente il ferni, la crema dolce profumata al cardamomo e fiori d'arancio decorata con granella di pistacchi, sullo sfondo il vasetto con il dolce su un vassoio d'ardesia e il libro "Le cuoche che volevo diventare"


La ricetta del ferni si trova proprio sul libro "Le cuoche che volevo diventare", viene data alla protagonista da Sadjia Masshour, una donna afgana che racconta della sua vita e di come da insegnate di letteratura nel suo paese natio, è costretta a reinventarsi quando con la famiglia chiede asilo in Francia. Sadjia racconta che la cucina familiare è affidata esclusivamente alle donne, mentre nei ristoranti, nelle taverne e nei mercati i cuochi di professione sono uomini. A Parigi insieme al marito aprono un piccolo locale a Montmatre. Inizialmente, fedele alle tradizioni il marito è in società con uno chef mediorientale che però imparerà le ricette familiari di Sadjia. Ma quando lo chef se ne va, Sadjia decidere di scendere lei in cucina. Sadjia racconta della cucina afgana come una cucina povera ma che viene esaltata dall'uso di spezie e di aromi. Ci sono anche i contrasti forti come al piccante si contrappone la freschezza della menta e dello yogurt caprino. I dolci si mangiano lontano dai pasti e accompagnati da una tazza di tè. 

Ed ecco la ricetta del fermi, una crema dolce al cardamomo "che unisce il lato consolatorio del dessert all'effetto digestivo della spezia" scrive Roberta Corradin.

Nella ricetta Sadjia usa la maizena per addensare e l'acqua di rose insieme al cardamomo per aromatizzare e profumare. 

Mi sono presa la licenza personale di sostituire la maizena con la frumina e, non avendo trovato l'acqua di rose, ho usato l'essenza di fiori d'arancio. Ho dimezzato anche le dosi indicate sul libro e ho riempito 4 vasetti da 125 g, dei barattolini monoporzione che ho guarnito, prima di servire, con pistacchi e mandorle tritate a coltello.

La ricetta è semplice da fare e anche veloce: la crema ha un profumo inebriante, fresca in bocca, una vera coccola, come tutte le creme di latte, ma dai profumi e sapori inusuali. Il croccante e il colore viene dato dalla frutta secca messa in superficie a guarnizione. 

Non resta che metterci ai fornelli.

Ingredienti

  • 25 g di frumina (fecola di frumento)
  • 500 g di latte
  • 125 g di zucchero
  • 1\2 cucchiaino di cardamomo in polvere
  • 1\2 cucchiaino di essenza di fiori d'arancio 
  • 20 pistacchi
  • 10 mandorle

Procedimento

Stempera la frumina in 125 g di latte freddo, usa una piccola frusta per scioglierla bene.

Scalda il restante 375 g di latte e porta quasi a ebollizione.

Versa lo zucchero nel latte caldo, mescola per farlo sciogliere.

Abbassa la fiamma sotto la casseruola del latte e versa a filo la miscela di frumina, aggiungi il cardamomo e l'essenza di fiori d'arancio.

Cuoci la crema per circa cinque minuti dal bollore, continuando a mescolare, finché la crema non vela il cucchiaio e si addensa.

Dividi ora la crema in 4 coppette e lascia intiepidire, poi conserva in frigorifero fino al momento di servire.

Servi cospargendo la superficie con mandorle e pistacchi tritati a coltello.



31 dicembre 2023

Focaccine, scones, ai mirtilli

Focaccine, scones, ai mirtilli

 

focaccine ai mirtilli



Le focaccine, o scones, ai mirtilli mi accompagnano nella lettura del romanzo di Erica Bauermeister “La scuola del ingredienti magici”, dove sono citate.

Il libro, trovato per caso, e la ricetta che l’accompagna conclude questo mese di dicembre, e questo anno 2023. 


Dicembre è un mese che profuma di spezie, doni e buoni propositi per il nuovo anno.

Anche noi di #frameofbreak abbiamo pensato di parlare di generosità e doni, e il romanzo letto sembra perfettamente inserito nel tema.


Gabriella Rizzo, del blog Homework and Muffin ci delizia con i Pabassini e “Il dono di Natale” di Grazia Deledda.


La scuola degli ingredienti segreti


Il romanzo di Erica Bauermeister è una delicata storia in cui la vita di diverse persone si intrecciano durante un corso di cucina. La protagonista è una chef, proprietaria di un ristorante dall’ambientazione molto particolare, intima e accogliente. 


Il libro comincia proprio con il prologo della chef che racconta come abbia scoperto la sua passione per la cucina e il magico potere degli ingredienti sin da piccola.

Gli allievi che una volta al mese si ritrovano al corso scoprono ben presto che Lillian non è una docente convenzionale: non fornisce loro delle dispense o un ricettario, ma preferisce che i suoi allievi si affidino all’osservazione e ai sensi, rispettando sempre gli ingredienti che usano.

Cucinare - dice Lillian - è imperniato sul gusto personale: aggiungi un pizzico in più di questo o quello finché ottieni il sapore desiderato. La pasticceria, però, è diversa. Devi assicurarti che alcune combinazioni siano esatte. Essenzialmente, una torta è in realtà una delicata equazione chimica: un equilibrio tra aria e struttura.

Gli otto allievi che per motivi diversi si sono trovati al corso presto scopriranno qual è il loro ingrediente segreto, e il magico potere terapeutico della cucina.

L’autrice ha la capacità di descrivere i piatti e le preparazioni con una cura e un amore ricche di dettagli, sembra quasi dipingerli con le parole: possiamo vedere tutti i passaggi, le consistenze esattamente come se fossimo presenti, lo chiama il potere del realismo magico.


Non voglio raccontare la trama o peggio il finale, il libro è così piacevole e delicato che è stato una piacevole scoperta. Confesso che sono stata attratta dal titolo e mi sono ritrovata tra le pagine a ripensare al potere degli ingredienti, alla cucinoterapia, al potere emozionale e curativo del cibo. Basta saper ascoltare e osservare.


E poi ci sono i doni. Cucinare è un atto d’amore, quando non è solo dover mangiare per sopravvivere. E il dono non sempre è qualcosa che ci viene dato. La stessa autrice lo scrive tramite Abuelita, che ha un negozio pieno di spezie e ingredienti magici e diventa una sorta di guida per la protagonista.


Riflettendoci anche noi abbiamo i nostri ingredienti a cui siamo più legati o che ci ricordano qualcosa, e forse anche a noi è stato fatto "quel dono".

Come i personaggi del libro anche noi dobbiamo ritrovare il nostro tempo e prenderci il giusto ritmo per poter usare i nostri sensi, saper ascoltare, rispettare, "gli ingredienti" e noi stessi. 

 

Focaccine, scones, ai mirtilli

Gli scones o focaccine sono dei dolcetti immancabili nel tradizionale tè inglese delle cinque. Pare risalgano al diciannovesimo secolo quando, dice la leggenda, la Duchessa di Belford chiese che le venisse servito uno spuntino pomeridiano con del tè caldo e delle tortine. Successivamente la Duchessa prese l'abitudine di invitare le amiche per il tè pomeridiano, inaugurando così un rituale destinato a diventare una sociale. Questo nuovo rito sociale arrivò sino a corte dove la Regina Vittoria organizzò sontuosi ricevimenti con il tè.

Dopo questa curiosità storica veniamo alla ricetta degli scones. Ci troviamo davanti a una ricetta tradizionale della quale possiamo trovare diverse versioni: più soffici o più friabili, con uvetta, semplici o rivisitazioni come in questo caso con i mirtilli.

Per un tradizionale tè inglese vanno serviti accompagnati da "clotted cream" che è una panna densa che possiamo sostituire con panna appena montata, o panna e burro, o panna e mascarpone, e confettura di lamponi (o altra a piacere).

Ingredienti

  • 300 g di farina tipo 0 + quella per il piano di lavoro
  • 40 g di zucchero
  • 80 g burro
  • 10 g lievito per dolci
  • 1 uovo
  • 150-200 ml latte intero
  • 75 g mirtilli o uvetta

Procedimento

Scalda il forno a 220° C e rivesti una teglia con un foglio di carta forno.

In una larga ciotola metti la farina, il burro tagliato a cubetti e il lievito. Lavora gli ingredienti, con la punta della dita, fino ad avere un composto bricioloso.

Unisci lo zucchero e l'uovo e mescola con un cucchiaio in modo da incorporare tutti gli ingredienti.

Versa metà del latte e mescola ancora delicatamente con il cucchiaio, quindi unisci il latte rimasto, poco alla volta, continuando a mescolare fino ad ottenere un impasto molto soffice e leggero. Osserva bene l'impasto che stai lavorando perché potrebbe non essere necessario tutto il latte. Infine aggiungi i mirtilli e incorporali delicatamente all'impasto.

Trasferisci ora l'impasto su un piano di lavoro infarinato e inizia a lavorarlo facendo dei giri di pieghe finché l'impasto non sarà morbido (e non più appiccicoso), ma attenzione a non lavorarla troppo.

Ora stendi l'impasto, aiutandoti con un po' di farina per il piano, dal centro verso l'alto e poi dal centro verso il basso, ruotala di 90° C e prosegui così fino ad ottenere uno spessore di 2,5 cm circa. "Rilassa" la pasta sollevando delicatamente i bordi e lasciandola ricadere sul piano di lavoro.

Ora usa un tagliabiscotto rotondo per ricavare gli scones e sistemali sulla teglia distanziati tra loro. Una volta che avrai ritagliato tutta la pasta, impastala e stendila di nuovo. Fallo una sola volta perché poi l'impasto inizierà a diventare gommoso.

Spennella la superficie degli scones con un po' di latte e inforna per 15 minuti circa, sino a che saranno gonfi e dorati.

Falli intiepidire su una gratella e poi servili.


28 novembre 2023

Torta di mele dell'Hobbit

Torta di mele dell'Hobbit

torta di mele degli hobbit


La torta di mele dell'Hobbit è un classico dolce da credenza, la torta della nonna, con l'aggiunta di qualche tocco speziato, semplice e perfetta per l'ora del tè.

La torta di mele è nella dispensa di Bilbo Baggins, e viene offerta durante una sorta di riunione a sorpresa del padrone di casa, ai molti nani che hanno appuntamento lì e a Gandalf (il mago bianco), dirò di più tra le varie leccornie che vengono servite, questo dolce è proprio richiesto da uno degli ultimi nani arrivati a casa di Bilbo. Stiamo parlando del capitolo primo del libro di J.R.R. Tolkien, "Lo hobbit".

È noto come il genere di letteratura fantasy sia ricco di dettagli legati alle ambientazioni anche gastronomiche, e Tolkien non è da meno. Anzi per lui è un elemento che va oltre la necessità del nutrimento. Le descrizioni dei banchetti sono ricche di dettagli che sottolineano il piacere dei suoi personaggi (oltre che dell'autore stesso) hanno della buona cucina. Inoltre sono di aiuto alla struttura narrativa, spesso precedono le avventure dei personaggi. Ma la cucina è anche il focolare ed è legato a valori di amicizia e fratellanza.

La torta di mele dell'hobbit

La mela è da sempre protagonista in letteratura e nel cinema, sia dall’antichità, associata al desiderio, o portatrice di “morte” avvelenata, o di discordia (il pomo della discordia).

Le torte di mele poi spopolano in tutte le sue versioni nelle pagine dei libri, nelle favole e sul grande schermo, e non poteva mancare in un autore come J.R.R. Tolkien.

Sul web facilmente si troveranno altre ricette che si sono ispirate ai film o ai libri di Tolkien, e questa è la mia interpretazione della torta di mele citata.

Sono partita pensando ai luoghi, al benessere di Bilbo Baggins e agli ingredienti che poteva avere a disposizione. 

Gli hobbit, ricordiamolo, sono un popolo goloso e pacifico, che abita nella Terra di Mezzo, un luogo fantastico sito nell'immaginario, quindi potrebbe essere ovunque noi preferiamo, ma nella mia fantasia (sarà anche perché Tolkien è inglese), mi oriento verso il Nord. 

Ho quindi pensato a una torta di mele, con una varietà di mele autoctone antiche le grigie (o le Annurca), profumata e speziata con cannella, e impreziosita da noce moscata e limone.

A proposito di spezie, questo è il tema che ci siamo date, con il progetto #frameofbreak, io e Gabriella Rizzo. Gabriella ha associato a dei biscotti persiani con farina di ceci, pistacchi e profumati di cardamomo il libro "Caffè Babilonia", vai sul suo sito per scoprire i dettagli.

La ricetta

Ma eccoci al momento della ricetta e del procedimento, molto semplice, per poter realizzare la torta di mele dell'hobbit da accompagnare con un buon tè.


Ingredienti

  • 200 gr di farina (tipo 0)
  • 150 gr di zucchero semolato
  • 164 g uova (3 uova intere)
  • 8 g bustina di lievito per dolci vanigliato
  • 4-5 mele annurca o 2 mele Grigie di Torriana (simili alle renette)
  • 80 ml di olio di semi (meglio se biologico e spremuto a freddo)
  • 50 ml latte 
  • buccia grattugiata di 1 limone
  • 1/4 tbs di cannella
  • un pizzico di noce moscata
  • un pizzico di sale
  • 1 o 2 cucchiai zucchero semolato e cannella 
  • zucchero a velo per decorare (facoltativo)

Preparazione

Setaccia e mescola la farina, il lievito, la cannella, la buccia di limone grattugiata e un pizzico di noce moscata.

Monta le uova con lo zucchero e un pizzico di sale fino a renderli gonfi e spumosi.

Poco alla volta aggiungi le polveri alla massa montata alternandolo con l'olio e il latte, devi ottenere un impasto liscio, fluido e soffice.

Pulisci le mele e tagliane la metà a dadini da mescolare delicatamente all'impasto, l'altra metà a fettine sottili da disporre sulla superficie.

Imburra e infarina, o rivesti con carta forno, uno stampo da 20 cm.

Versa l'impasto nello stampo, sistema le fettine di mela sulla superficie e spolvera con zucchero semolato e cannella.

Cuoci in forno statico preriscaldato a 160-170° C per circa un'ora. Prima di sfornare fai la prova stecchino; se dovesse essere ancora umido allunga il tempo di cottura.

Una volta pronta spegni il forno, lascia la porta aperta e fai riposare per 10 minuti. 

Delicatamente sforma la torta e lasciala raffreddare su una griglia per dolci.

Puoi servirla così semplice o decorata con un po' di zucchero a velo, o accompagnata con una crema o panna poco montata, un buon tè.






16 novembre 2023

Crème brûlée di Michel Paquier

Crème brûlée di Michel Paquier


Crème brûlée


La Crème Brûlée è da secoli che delizia i palati dei golosi, e non perde terreno. Morbida, densa, profumata alla vaniglia, si nasconde sotto un velo croccante e caramellato. È facile da fare, ma per raggiungere la perfezione bisogna avere qualche attenzione in più. Un dolce che racchiude nella sua semplicità diverse consistenze e temperature e coinvolge tutti i sensi. 

Ma quali sono le sue origini?

Storia della crème brûlée

Il dolce è conteso tra francesi e inglesi, ma secondo alcune fonti i natali pare siano inglesi. E non dovremmo stupirci più di tanto, perché la cucina inglese, prima delle guerre, non aveva nulla da invidiare alle altre cucine. 

Però per aumentare la confusione sulle sue origini possiamo citare anche la Catalogna (Spagna) con la sua crema catalana, molto somigliante alla crème brûlée.  

Una cosa è sicura è un dolce molto antico di cui troviamo traccia scritta verso la fine del 1600. Infatti nel 1691 François Massialot, nel libro di cucina “Cuisinier royal et bourgeois”, troviamo una prima informazione sulla crème brûlée (letteralmente crema bruciata). Però lo stesso Massialot successivamente, nel 1740, crea confusione parlando di una ricetta simile che chiama "crème à l'Anglaise" (ossia la crema all'inglese).

Ritroviamo poi, intorno al 1870 a Cambridge, un dolce che viene servito nel Trinity College chiamato Trinity cream, con lo stemma del college impressa a fuoco sulla superficie caramellata (molto simile alla crème brûlée).

La ricetta del pasticciere Michel Paquier

Per realizzare questo delizioso dolce al cucchiaio ho seguito la ricetta e i consigli del pasticciere bretone Michel Paquier.

I consigli sono:

  1. nella preparazione fondamentale è la cottura per la quale si dovranno scegliere degli appositi stampini monoporzione in ceramica bassi e larghi (quello ideale ha un diametro di 11-12 cm e un’altezza di 3 cm). Il motivo per questo tipo di stampo è per avere una cottura veloce e uniforme, che con una cocotte non si avrebbe, inoltre offre una superficie più ampia per caramellare la superficie, che poi è la caratteristica del dolce stesso la crosticina croccante.
  2. Usare solo i tuorli per avere una crema morbida e allo stesso tempo ricca e cremosa. L’albume conferirebbe una consistenza solida e non sarebbe una crema…
  3. Filtrare, o almeno passare al colino, per avere un composto setoso e liscio,molto liscio.
  4. Normalmente la crème brûlée viene cotta in forno a bagnomaria, suddivisa in stampini messi in una teglia con acqua fino a metà della loro altezza per garantire una consistenza liscia come la seta (l'acqua che avvolge gli stampi trasmette il calore più dolcemente e in modo uniforme). In questa fase bisogna fare molta attenzione a non far bollire mai l’acqua per evitare che qualche goccia d’acqua vada nella crema rovinandola. Un trucco per evitare il disastro è avvolgere il fondo e i lati degli stampini con fogli di alluminio quadrati: l’eccesso di alluminio che si alzerà tutt’intorno agli stampi fungerà da effettiva barriera contro eventuali schizzi, in cottura e nel trasporto. Oppure, meglio ancora, si seguono istruzioni del pasticcere Michel Paquier che semplifica molto questo passaggio.
  5. Di solito si consiglia di usare solo lo zucchero bianco semolato, in quanto i piccoli granuli caramellano in fretta, evitando che con il calore intenso del cannello a gas lo zucchero si bruci troppo e che il budino si sciolga. Inoltre, il colore bianco dello zucchero che prende una tinta dorata con il calore è un ottimo strumento di misura del processo di caramellizzazione. Il colore marrone dello zucchero di canna rende più difficile rendersi conto del punto di caramellizzazione, con il rischio di eccedere con la fiamma.
  6. Si sconsiglia di caramellare la crema sotto il grill in quanto non si otterrà quella crosticina liscia e croccante, intensamente ambrata che caratterizza questo dolce e che ogni goloso adora rompere con il cucchiaio. Inoltre, per quanto si faccia attenzione, bastano pochi secondi sotto il grill per bruciare lo zucchero. Usare il cannello a gas per la buona riuscita.

Se preferisci qualcosa di maggiormente aromatizzato puoi aggiungere un cucchiaino di liquore, quello che preferisci, o qualche altra spezia.
Ma ora veniamo alla ricetta del maestro pasticciere.


crème brûlée



Ingredienti

  • 250 ml di panna fresca liquida
  • 250 ml di latte intero
  • 6 tuorli bio (108 g circa)
  • 70 gr di zucchero semolato
  • 1 bacca di vaniglia 
  • zucchero di canna

In una casseruola porta a bollore il latte, la panna, i semi della bacca di vaniglia e la stessa bacca aperta.

Mescola in una ciotola i tuorli con lo zucchero, non devi montarli, devi solo sciogliere lo zucchero.

Togli la bacca di vaniglia dai liquidi bollenti.

Aggiungi il latte sul composto di uova in due volte, mescolando con la frusta.

Versa il composto negli stampi, nelle cocotte, filtrandolo con un colino. 

Cuoci in forno ventilato a 100° C per circa 20 minuti.

Fai raffreddare a temperatura ambiente e poi metti in frigorifero.

La crème brûlée va servita fredda, ma prima cospargi la superficie con lo zucchero che farai sciogliere con il cannello per ottenere la crosticina croccante di caramello ambrato. 


7 novembre 2023

Dark and sumptuous chocolate vegan cake

Dark and sumptuous chocolate vegan cake



dark and sumptuous chocolate vegan cake

La Dark and Sumptuous Chocolate Cake è una ricetta goduriosa super cioccolatosa e vegana. 

Troppo bello per essere vero? O ci sono dubbi sulla pasticceria vegana?

A volte bisogna superare i preconcetti e provare. Io l'ho fatto e il risultato è stato superiore, e di molto, alle aspettative. Con le ricette giuste e se fatte bene la pasticceria vegana è buonissima.

Quando portate a tavola questa torta suggerisco di non dire che è un dolce vegano, facciamo prima assaporare, mangiare, e solo dopo confessare di che dolce si tratta... gli ospiti resteranno stupiti, come minimo.

La ricetta di questa torta è di Nigella Lawson.

Questa è una torta che ho fatto in diverse occasioni e in diversi modi, anche gluten free, e il risultato è stato sempre delizioso. 

La torta è scenograficamente bella a vedersi: il contrasto del colore dei pistacchi sulla glassa lucida rende il dolce allegro con il suo voluto finto disordinato. Il profumo è delizioso. Il dolce è umido, soffice e leggero, il gusto di cioccolato avvolgente. I pistacchi regalano la nota croccante. Per usare un termine di Nigella, è un dolce sontuoso.


dark and sumptuous chocolate vegan cake


La ricetta

La torta è molto semplice da fare, sembra incredibile visto il risultato.

È perfetta per chi è intollerante ai latticini e alle uova, e come ho detto, volendo si può fare anche in versione gluten free usando della farina di riso.

Rispetto alla ricetta di Nigella Lawson io non ho aggiunto il caffè in polvere né nella glassa né nell'impasto. 

Di seguito la torta che ho fatto io omettendo appunto il caffè, inoltre ho inserito sia la grammatura che l'uso anglosassone dei teaspoon. 

Ora senza ulteriori indugi mettiamoci i grembiuli e accendiamo il forno.


Ingredienti

Per la torta
  • 225 g di farina debole per dolci
  • 1 tsp e 1/2 di bicarbonato, circa 8 g
  • 1/2 tsp di sale, circa 3 g
  • 75 g di cacao amaro 
  • 300 g di zucchero di canna integrale grezzo
  • 375 ml di acqua calda
  • 75 g o 90 ml di olio di cocco bio deodorato
  • 1 tsp e 1/2 di aceto di mele o aceto di vino bianco, circa 7,5/8 ml
Per la glassa
  • 60 ml di acqua fredda
  • 75 g di olio di cocco bio deodorato
  • 50 g di zucchero di canna grezzo
  • 1 tsp e 1/2 di cacao amaro
  • 150 g di cioccolato fondente al 70% tritato finemente 
  • 1 manciata di pistacchi da tritare.
Procedimento

Preriscalda il forno in modalità statica a 180°C e rivesti una tortiera da 20 cm con la carta forno.

Inizia con la preparazione della glassa.

In un pentolino metti il cacao, lo zucchero, il burro di cocco e l'acqua. Porta a bollore mescolando per far sciogliere bene gli ingredienti ed evitare la formazione di grumi. 

Leva il pentolino dal fuoco e aggiungi il cioccolato tritato finemente, lavora con la frusta per ottenere una glassa liscia e lucida. Poi metti da parte e lascia raffreddare.

Prepara l'impasto della torta.

In una ciotola capiente mescola la farina e il cacao setacciati, il sale, e il bicarbonato.

In un'altra ciotola metti lo zucchero, l'aceto, l'olio di cocco e l'acqua bollente, lavora gli ingredienti con una spatola per amalgamare e sciogliere tutti gli elementi.

Ora aggiungi i liquidi alle polveri, mescola velocemente e versa l'impasto nella tortiera.

Inforna e cuoci per 35 minuti circa. Prima di sfornare fai la prova stecchino, che deve uscire senza impasto attaccato, asciutto, e se serve allunga la cottura per altri 10 minuti.

Lascia raffreddare la torta nello stampo, poi sformala su un'alzata.

Versa la glassa sulla torta, ricoprila, e decorala con dei pistacchi tritati grossolanamente.

Attendi mezz'ora prima di servirla.




15 luglio 2023

Melktert

Melktert

melktert, crostata con crema al latte alla vaniglia, spolverata di zucchero e cannella sullo sfondo, in primo piano una fetta della torta


La Melktert (mɛlktɛt) in afrikaans significa “torta al latte”, è un famoso dolce sudafricano. 

Insieme a Gabriella Rizzo di Homeworkandmuffin, per il progetto #frameofbreak, abbiamo preparato delle ricette sudafricane per il Mandela Day, la giornata mondiale per onorare, nel giorno della nascita, la vita e il lavoro di Nelson Mandela. La sua storia è leggenda tanto da ispirare libri e film sulla sua vita e la sua attività. Mandela è stato il primo presidente nero della Repubblica Sudafricana e La sua attività politica è stata molto rilevante: per tutta la vita si è battuto per i diritti dei neri in Sudafrica, passando per questo un totale di 27 anni in prigione. Fu una figura determinante per la fine dell’Apartheid, il sistema di segregazione razziale sudafricano. Per il suo impegno ha ricevuto un Nobel per la pace nel 1993. Dopo la presidenza del Sudafrica (1994-1999) Mandela continuerà ad essere un attivista per la giustizia sociale in tutto il mondo.

Gabriella ha preparato koeksister, deliziose frittelle e oltre che di Mandela e del suo operato ci parla anche di una cantante sudafricana nota, oltre che per la sua voce, anche per aver lottato contro il regime dell’apartheid: Miriam Makeba.

Parlando di Sudafrica la mia mente è subito andata a una mia lettura d’adolescente: "Il grido del Kalhari", di Mark e Delia Owens. Gli autori sono due naturalisti americani con la passione per la zoologia che lasciano tutto per trasferirsi a studiare gli animali nel loro ambiente naturale, nel deserto del Kalhari appunto, e vi rimarranno per ben 7 anni. Il libro scritto come un loro diario racconta dettagliatamente questa loro esperienza.

Ho poi scoperto recentemente che anche un libro per ragazzi della serie Tea Sisters parla del Sudafrica e riporta la ricetta della melktert: infatti una delle protagoniste, Pam, ha la passione della cucina e in ogni libro si troveranno riferimenti gastronomici.

vista dall'alto in primo piano la fetta di melktert, in secondo piano la crostata con crema al latte alla vaniglia, spolverata di zucchero e cannella


Melkert: storia e ricetta


La melktert è uno dei dolci più diffusi, presente nelle sale da tè e nelle pasticcerie sudafricane. La torta è formata da un croccante guscio di frolla che racchiude un goloso e cremoso ripieno a base di latte, farina, zucchero e uova. 

Assomiglia al dolce tipico portoghese pastel de nata, differendo nella consistenza più leggera e un più intenso profumo di latte. 

Le origini del dolce sono da ricercare nei coloni olandesi del XVII secolo. Ma questo non dovrebbe stupirci, infatti il Sudafrica  è “un paese che contiene un mondo intero” grazie alla coesistenza di molte culture, quella indigena locale e quella dei coloni, che si mescolano tra loro. Anche la cucina non è immune da questa fusione e viene chiamata rainbow cuisine (cucina arcobaleno) proprio grazie alle varietà e alle influenze multietniche e culturali.

Tessa Kiros nel suo libro “Falling Cloudberries”, un libro di ricette e memorie, racconta le sue esperienze di vita attraverso il cibo in giro per il mondo. Ai suoi ricordi d’infanzia del Sudafrica dedica un intero capitolo e naturalmente parla della melktert e ne scrive la ricetta.

La torta è legata alla tradizione popolare, è un dolce a basso costo con ingredienti di facile reperibilità. Risulta molto dolce e piacevolmente speziato con un ripieno vellutato e la consistenza di un budino al latte racchiuso in un guscio croccante. È perfetta in ogni momento della giornata: per una consistente colazione, un fine pasto, per una merenda o con un tè, magari un tè Roobois (un tè rosso africano), volendo anche aromatizzato.

Ingredienti 

Per la pasta:

  • 230 g di farina per dolci
  • 100 g burro freddo a cubetti
  • 100 g zucchero semolato
  • 1/2 cucchiaino lievito in polvere
  • 1 uovo 
  • 1 presa di sale

Per il ripieno

  • 750 ml latte
  • 75 g burro
  • 3 tuorli
  • 3 albumi
  • 100 g zucchero
  • 30 g frumina (o un altro amido)
  • semi di una bacca di vaniglia

Per decorare

  • 1 cucchiaio di zucchero semolato 
  • cannella in polvere


Procedimento


Comincia a preparare la pasta.

In una ciotola capiente metti burro e zucchero, lavorali con un cucchiaio di legno finché non diventa un composto soffice.

Aggiungi la farina setacciata con il lievito e il sale, impasta con la punta delle dita fino ad avere un composto sabbioso.

Unisci l’uovo leggermente sbattuto lavora il composto per amalgamare tutti gli ingredienti, forma una palla leggermente schiacciata.

Avvolgi l’impasto nella pellicola alimentare e mettila in frigorifero a riposare per un’ora.

Preriscalda il forno a 180° C.

Stendi la pasta con un mattarello su una superficie di lavoro infarinata.

Rivesti una tortiera da 26 cm di diametro.

Bucherella la pasta con i rebbi di una forchetta, copri con carta forno e inserisci dei pesi per procedere con la cottura in bianco per 20 minuti. 

Trascorso il tempo togli i pesi e la carta forno e fai asciugare il guscio in forno per altri 10 minuti.

Procedi a preparare il ripieno.

Sciogli il burro nel latte a fuoco moderato.

Sbatti i tuorli con lo zucchero.

Incidi una bacca di vaniglia, raschiane i semi e aggiungili alle uova sbattute.

Unisci anche l'amido e mescola bene con una frusta.

Aggiungi un po’ di latte caldo alle uova, mescolando per non farle impazzire.

Unisci il resto del latte e mescola fino a che non è tutto omogeneo; quindi lascia raffreddare.

Monta gli albumi a neve, e poi uniscili, in più riprese, mescolando con una frusta al composto di tuorli ormai freddo: deve venire una consistenza tipo mousse.

Versa il ripieno nella guscio della crostata, spolverizza la superficie con zucchero e cannella, inforna per 30 minuti in forno preriscaldato a 180° C.

Una volta pronto sforna, lascia raffreddare completamente e servi con una spolverata di cannella extra.

Created By lacreativeroom