25 settembre 2023

Waffles in Bruges, del maestro pasticcere Gianluca Fusto

Waffles in Bruges, del maestro pasticcere Gianluca Fusto

waffles in bruges


Waffles in Bruges è una ricetta tratta dal libro "Le mie 24 ore dolci" del maestro pasticcere Gianluca Fusto, edito da Gribaudo.


Il libro del maestro è un piacere da sfogliare prima con gli occhi, ricco di golosità suddivise nell'arco della giornata sia dolci che salate. Variabili i gradi di difficoltà, anche se il maestro dice che è "per non professionisti". Le foto sono molto belle, il testo curato e ben spiegato, e invoglia a mettersi ai fornelli.
Il volume è diviso in capitoli corrispondenti ai diversi momenti della giornata. All'inizio, dopo alcune pagine in cui diversi personaggi, tra cui Gualtiero Marchesi, presentano e parlano di Gianluca Fusto, troviamo gli attrezzi del mestiere e le preparazioni base.

Waffles in Bruges

I waffles in bruges sono inseriti nel capitolo "la merenda dei campioni", quella del pomeriggio alle 16, di cui Gianluca Fusto scrive "la mia merenda non è un fuori pasto ultracalorico, il peggior nemico di menti attive... È una pausa di dolce relax e condivisione che può diventare una genuina tradizione... sorseggiando un buon tè o una calda ti-sana!"

Il waffle è la versione americana della gaufre belga. Un tempo le piastre tradizionali in ghisa, di varie forme e dimensioni, venivano tramandate da madre in figlia o venivano regalate alle nozze come augurio di felicità. 

Oggi usiamo delle piastre elettriche, e anche in questo settore ci sono forme diverse. La mia sarebbe rettangolare da fare dei quadrati, ma a me vengono sempre delle forme un po' irregolari.

I waffles a casa li mangiamo a colazione per darci energia per affrontare la giornata che ci aspetta e per iniziare con dolcezza.

La ricetta di Gianluca Fusto oltre ad essere deliziosamente golosa, inebria con il profumo dei suoi aromi, leggerissima, leggermente fragrante fuori e, allo stesso tempo, morbida all'interno; è anche una ricetta antispreco in quanto possiamo usare gli albumi che rimangono da altre preparazioni.

Ed ecco la ricetta, assolutamente da fare e rifare.

Ingredienti
  • 150 g di latte fresco intero
  • 130 g di farina
  • 130 g di albumi
  • 90 g di burro 
  • 30 g zucchero
  • 6 g di cannella in polvere
  • 3 g di buccia di limone (zest) fresco bio
  • 3 g di stecca di vaniglia (o essenza)
  • 2 g di fior di sale
Per la presentazione
  • zucchero a velo
  • cannella in polvere
  • panna fresca
Preparazione

In una casseruola scalda il latte con la stecca di vaniglia (o l’essenza), labuccia di limone, il burro e il sale, poi spegni e lascia in infusione per almeno 10 minuti. 

Togli il baccello e la buccia di limone.

Versa poco per volta il latte caldo sulla farina, precedentemente setacciata insieme alla cannella. 

In una planetaria munita di gancio a foglia monta gli albumi a velocità moderata, aggiungendo poco per volta lo zucchero, in modo da ottenere una consistenza perfettamente liscia e al massimo del suo volume. 

Amalgama delicatamente i due impasti mescolando dal basso verso l’alto. 

Dosa il composto con un mestolo e cuoci direttamente nell’apposita macchina o piastra per waffles.

Servi con una spolverata di zucchero a velo e cannella o con panna leggermente montata, oppure con quello che preferisci.


11 settembre 2023

Tyropita

Tyropita



tyropita


La tyropita è una torta salata della cucina tradizionale greca, assolutamente deliziosa e saporita. L'ho preparata per il progetto #frameofbreak in occasione dell'inizio dell'anno scolastico.

Con Gabriella (del blog www.homeworkandmuffin.it) ci siamo ritrovate a pensare ai libri che in qualche modo hanno fatto parte del nostro percorso scolastico. Alcuni ci vengono assegnati altri, invece, sono stati scelti da noi. 

Gabriella ricorda con particolare emozione "Piccole Donne" di Louisa May Alcott, e lo abbina a una torta di mele fatta in casa.

Per quanto riguarda me la scelta è stata difficile sono legata a molti libri. Però ripensando a quegli anni e alle mie passioni ricordo particolarmente libri che in qualche modo hanno a che fare con gli animali, o libri leggeri e divertenti. Che dire sono sempre stata un po' diversa, nel mio animo resto una veterinaria o zoologa mancata, e così la mia scelta è ricaduta su un testo che non mi era stato assegnato a scuola ma che avevo scelto io proprio per il tema trattato. Il mio libro è scritto da Gerald Durrell, noto zoologo e il titolo è "La mia famiglia e altri animali".

In questo libro l'autore parla di se stesso di quando era un ragazzo e con la sua famiglia si trasferisce per 5 anni sull'isola di Corfù

Gerald Durrell presenta il libro dicendo che "in origine doveva essere un resoconto blandamente nostalgico della storia naturale dell'isola, ma ho commesso il grave errore di infilare la mia famiglia nel primo capitolo del libro. Non appena si sono trovati sulla pagina non ne hanno più voluto sapere di levarsi di torno, e hanno persino invitato i vari amici a dividere i capitoli con loro". 

Così con umorismo, leggerezza e delicatezza ci troviamo immersi nella lettura tra le avventure e le scoperte di uno zoologo in erba, intervallati anche da una serie di situazioni familiari a volte anche con tensioni e turbamenti. Ma su tutto si è immersi in un'atmosfera di felicità contagiante. 


Nel libro non si parla molto di cucina, sì i personaggi mangiano, prendono il tè delle cinque con i pasticcini da buoni inglesi, fanno ricevimenti e picnic con prodotti del luogo, ma non ci sono descrizioni di piatti. D’altra parte Gerald Durrell è più concentrato sulla natura che lo circonda, e il cibo qui non ha nemmeno un ruolo secondario o scenografico. In questi giorni l'ho riletto cercando qualche particolare gastronomico che magari mi era sfuggito da adolescente, ma non ne ho trovati. Allora, visto che la storia è ambientata sull'isola greca di Corfù ho pensato che magari anche Gerald Durrell e la sua famiglia magari hanno mangiato la tyropita.


La Tyropita

La tyropita è una torta rustica salata della cucina tradizionale greca realizzata con pasta phillo ripiena di feta profumata alla menta. 


La pasta phillo è un tipo di pasta molto usata nella cucina orientale e balcanica: sono dei fogli di pasta molto sottili e delicati. Si può fare in casa o comprarla già pronta. Importante è spennellare ogni foglio di pasta con olio extravergine d'oliva.

La versione originale della tyropita prevede l'uso della sola feta, che ha un sapore molto intenso e sapido, ed è davvero buonissima, ma non tutti amano un gusto così forte, e così ho aggiunto della ricotta vaccina per rendere il ripieno più bilanciato e meno sapido.

Se non hai la menta fresca puoi mettere in infusione nel latte della menta secca.

La croccantezza del guscio di pasta phillo, il ripieno gustoso profumato di menta che dona freschezza, rende l'insieme uno spuntino davvero speciale. Ideale mangiarla calda o tiepida.



Ingredienti


  • 225 g di pasta phillo
  • 400 g di feta
  • 250 g di yogurt greco
  • 200 g di ricotta vaccina
  • 15 foglie di menta
  • 1 uovo
  • 50 ml di latte intero
  • olio extravergine d'oliva quanto basta


Preparazione


Se non hai la menta fresca, metti in infusione nel latte della menta secca.
Trita finemente le foglie di menta fresche.
In una ciotola capiente unire la feta sbriciolata, lo yogurt greco, la ricotta, il trito di menta, l'uovo e amalgamare in tutto.
Sul piano di lavoro adagia un foglio di pasta phillo e spennella, in modo uniforme, olio extravergine d'oliva. Ripeti l'operazione con altri fogli di pasta phillo e sovrapponi una sfoglia sull'altra fino ad avere una decine di sfoglie.
Sistema delicatamente le sfoglie di pasta in una pirofila e versa il ripieno di feta e ricotta.
Copri la superficie con un'altra sfoglia di pasta phillo ripetendo l'operazione fatta prima per la base. 
Ripiega i bordi verso l'interno della sfoglia di copertura per evitare che il ripieno fuoriesca durante la cottura.
Spennella dell'olio extravergine d'oliva sulla superficie. 
Poi con un coltello realizza una scacchiera a trama larga.
Versa il latte (filtralo se hai messo in infusione la menta) sulla tyropita.
Cuoci in forno preriscaldato statico a 180° C per circa 50 minuti.
Servi caldo o tiepido.





30 agosto 2023

Il Babà

Il Babà


torta babà


Il babà è uno dei dolci rappresentativi di Napoli. È il simbolo della dolcezza, per fare un complimento si dice "si nu' babbà" ad indicare la dolcezza e la bontà d'animo, la disponibilità, o la bellezza e si usa sia per persone che cose (e perché no anche animali). 

Il babà è una cosa seria, cantava Marisa Laurito nel lontano 1989, praticamente lo scorso secolo. E come non darle ragione?

E si ‘a vita amara se fa
è una cura che fa bene
‘O babà nun po’ ingannà
Il babà è come il ciucciotto
La coperta di Linus
Se cercate un antistress
Accattateve ‘o babà
Si addolcisce cu nu babà
Il babà è una cosa seria
Cu ‘o babà nun se pazzea

Il suono della parola babà (in napoletano si scrive babbà, quindi in modo diverso da come si pronuncia) gioca sul piacere uditivo e sul successo memonico: come dimenticare un simile nome formato dalle prime due lettere dell'alfabeto?

Di babà abbiamo due versioni: quello grande la torta babà, il dolce della domenica da decorare e portare a tavola e condividere a fette e si mangia con piattino e forchetta, o le varie misure monoporzioni, a funghetto o cappello del cuoco, anch'essi bagnati e decorati ma che si possono mangiare in due tre bocconi usando le mani, magari anche continuando a passeggiare.

Storia del Babà

Anche se il babà è oramai per tutti uno dei simboli partenopei, le sue origini sono da ricercare invece in una cittadina francese del nord al confine con la Germania, Luneville.

La storia di questo dolce è raccontata da Flavia Amabile nel suo libro "Si nu' babà", edizioni Ippogrifo, 2001, arricchito dalle foto di Gérald Bruneau e dall’introduzione di Antonio Bassolino oltre che da alcune testimonianze di personaggi celebri.

Il babà deve la sua nascita all’ultimo duca di Lorena ed ex re di Polonia, Stanislao Leszczyński, suocero di Luigi XV di Francia, che aveva sposato sua figlia Maria.

La storia narra che il precursore dell’odierno babà, fosse un dolce austriaco, il kugelhopf, per metà panettone e per metà brioche, che un giorno il duca di Lorena decise di bagnare con il Madeira per ammorbidirlo. La sua passione per l’arte culinaria lo portò successivamente a farlo rielaborare: nel procedimento il dolce verrà fatto lievitare per ben 3 volte e verrà sbattuto al fine di ottenere una pasta più leggera, verrà inoltre uvetta e zafferano (ingredienti tipici della cucina turca, che il re aveva conosciuto durante la sua prigionia ad Instabul). Anche la forma cambia assumendo quella della cupola di Santa Sofia e chiamato Alì Babà (come il protagonista de "Le Mille e Una Notte"). 

Questa contaminazione culturale porta il prof. Fabrizio Mangoni, autore di "Di che dolce sei?" sulla fisiognomica dei dolci, a definire il babà come il "dolce dei Lumi" in quanto è "figlio di un'idea", a differenza degli altri dolci delle cui origini si sa ben poco.

Al dolce viene poi aggiunta una bagna, necessaria per mantenerne la morbidezza (altrimenti destinato ad indurire nel giro di poche ore). Il duca Stanislao Leszczyński sceglie il Madeira, mentre a Versailles si usa il rhum giamaicano, importato dalle colonie e di gran moda.

Il pasticciere polacco Sthorer, che prima era a servizio del duca Stanislao Leszczyński, seguirà e si trasferirà con la figlia del duca Maria, che nel 1725 sposerà Luigi XV. In seguito il pasticciere aprirà un suo laboratorio in Rue Montorgueil dove crea i babà a forma di fungo o cappello di cuoco, così come lo conosciamo noi.

In seguito Jean Anthelme Brillant-Savarin regala un babà a forma di ciambella, ai fratelli Julien per il loro laboratorio sul Boulevard St. Honorè. Al centro della ciambella è possibile inserire la frutta, viene eliminata l'uvetta, aggiunto il burro e una spennellata di confettura di albicocche per far durare la bagna più a lungo, e diventa semplicemente Babà.

Ma come giunse il babà dalle corti parigine a Napoli

La risposta la possiamo trovare nelle pagine di storia, e nella rivalità tra sorelle, anche se regali. Parliamo delle figlie di Francesco duca di Lorena e imperatore d’Austria e di Maria Teresa d’Asburgo: Maria Antonietta e Maria Carolina. La prima va in sposa a Luigi XVI, nella corte francese, la seconda sposerà Ferdinando IV di Borbone. Ecco il collegamento tra Parigi e Napoli: Maria Carolina manda continuamente emissari nella corte francese per scoprire e copiare le ultime tendenze nella moda e nella cucina e replicandola nella sua corte a Napoli. Ecco come la cucina partenopea viene "influenzata" dalla cucina francese, nasce il periodo della cucina dei "monzù" con i gattò, la besciamella, gli "sciù" e i gratin. Evidentemente era possibile replicare, anche se in modo diverso, lo stile francese in una grande città come Napoli, capitale del regno Borbone.

Nel 1836 il babà viene citato come dolce tipico napoletano nel primo manuale di cucina italiana scritto da Angeletti per Maria Luigia di Parma.

Da allora di strada ne ha fatta il babà, l'ultima evoluzione è il babà al limoncello o alla crema di limone nato a Capri. 


babà a funghetto o cappello da cuoco

La ricetta del Babà

Fare un babà non è semplice, che sia a torta o a funghetto l'impasto è lo stesso ed è un impasto ricco che richiede alcuni accorgimenti. Di ricette se ne trovano molte. 

Quella che ti propongo è la ricetta di Angela Frenda dal libro "Racconti di cucina". Ho confrontato lo scritto della Angela Frenda con la ricetta del taccuino della mia nonna, bravissima Babbaina, e devo dire che le ricette sono praticamente uguali, ma in quella di mia nonna manca il procedimento per la lavorazione, lei appuntava solo ingredienti e dosi, tutto il resto era a memoria e nella sua abilità.

A proposito viene chiamata Babbaina la signora che prepara in casa il babà.

Angela Frenda è molto chiara nei suoi passaggi, io ho solo diminuito, di pochissimo, la dose del lievito di birra usandone 25 g invece di 30 g, e sia la torta babà che i babà a funghetto o cappello da cuoco mi sono venuti perfettamente. 
Come da tradizione ho poi farcito con panna e frutta fresca.
Per la bagna... bhè a te la scelta se innovativa al limoncello o tradizionale al rum, ma se ci sono dei bambini anche solo nello sciroppo profumato con scorza di limone.

Ma ora mettiamoci ad impastare.


Ingredienti per 8/10 persone

Per l'impasto

  • 500 g di farina forte
  • 150 g di burro
  • 70 ml di latte 
  • 40 g di zucchero semolato
  • 25 g lievito di birra fresco
  • 8 uova (440 g di uova)
  • 10 g di sale fino
  • una bacca di vaniglia
Per la bagna
  • 1 litro e mezzo di acqua
  • 500 g di zucchero
  • 150 ml di rum (o limoncello, o quello che si preferisce)
  • scorza di limone (facoltativa)

Per la decorazione
  • Panna montata
  • Fragole 

Procedimento

Setaccia la farina e inseriscila nella ciotola della planetaria con il sale. 

Aggiungi un uovo alla volta e aziona la planetaria.

Versa il lievito sciolto nel latte e continua a lavorare fino a quando l'impasto si staccherà dalle pareti della ciotola.

Mescola i semi di una bacca di vaniglia con lo zucchero e il burro morbido e uniscilo all'impasto, amalgama bene.

Copri la ciotola con pellicola alimentare e lascia lievitare l'impasto al fresco per un'ora.

Versa l'impasto in uno stampo tondo fino a metà (per la forma grande) o negli stampini per mini babà, e lascia lievitare per due ore circa.

Cuoci il babà grande in forno statico preriscaldato a 170° C per 40 minuti, per i mini babà per 20-30 minuti.

Prepara la bagna con uno sciroppo di acqua e zucchero, quando l'acqua bolle aggiungere il rum e spegni.

Fai raffreddare ul babà e bagnalo a più riprese. 

Completa decorando con panna e fragole.


babà torta

P. S. Le ceramiche artistiche sono opera di mia zia Lucia.

8 agosto 2023

Storia e ricetta del Soda Bread

Storia e ricetta del Soda Bread

soda bread pagnotta

Il Soda Bread o Irish Soda Bread è il pane della tradizione irlandese, il simbolo della tavola irlandese. 

È il pane più semplice che ci sia dall'aspetto rustico, la sua particolarità è quella di essere senza lievito di conseguenza non necessita di tempi di lievitazione: si impasta, si dà la forma e si cuoce. Una ricetta davvero facile e veloce.

Lo si può realizzare sia con farina bianca che con la farina integrale.

Si presenta con la crosta croccante e la mollica molto compatta, la sua consistenza particolare è il risultato della reazione del latticello con il bicarbonato di sodio che forma delle piccole bolle di anidride carbonica nell'impasto.

Il soda bread andrebbe mangiato tiepido appena sfornato, o leggermente tostato. È buonissimo con burro e marmellata, ma anche per fare la scarpetta perché assorbe benissimo gli intingoli.

È da consumare nel giro di pochi giorni perché tende ad asciugarsi facilmente, ma si può conservare per qualche giorno in un sacchetto per il pane o surgelarlo tagliato a fette.


Storia del Soda Bread

Il Soda Bread è il pane delle nonne irlandesi, fortemente legato alla cultura dell'isola e immancabile nella Festa di San Patrizio.

Però questo pane, attribuito agli irlandesi, in realtà è stato creato per la prima volta dai nativi americani. Si hanno reperti storici documentati che sono stati proprio loro i primi a usare una specie di bicarbonato di soda naturale ricavato dalle ceneri del legno per far lievitare il pane. 

Tuttavia si deve agli irlandesi il merito di promuovere e diffondere il consumo del soda bread realizzando per la prima volta un pane, simile a quello che conosciamo ora, nell'Ottocento, con l'introduzione del bicarbonato. Il soda bread fu la risposta alla grande carestia, e depressione economica di metà '800, che la popolazione visse e che li costrinse a una cucina umile e di recupero. In particolare gli irlandesi si ritrovano con le coltivazioni di patate, loro alimento principale, distrutto a causa di un'infestazione di peronospora, così dovettero concentrarsi sul pane come unico sostentamento fondamentale. Un pane dall'aspetto rustico ma saporito, realizzato con ingredienti di facile reperibilità ed economici, è facile, veloce e pratico da preparare, non richiede di lievitazione e la pagnotta veniva cotta direttamente su una pasta posta sul fuoco. 

Il soda bread ha resistito nel tempo tanto da diventare ricetta tradizionale irlandese. Non solo esiste anche una Società per la conservazione del pane di soda irlandese, l'organizzazione si dedica alla protezione di questo patrimonio gastronomico nazionale.

Storia del bicarbonato di sodio

Il bicarbonato di sodio è una sostanza che si trova anche in natura dove si sono sedimentati i depositi dei laghi salati dopo l'evaporazione. 

Gli antichi Egizi usavano un minerale, chiamato "natron" e veniva usato per produrre sapone, per tingere e pulire i tessuti, per la fabbricazione del vetro, come ingrediente per i cosmetici e veniva usato durante il processo di mummificazione. Il nome passò ai Greci e ai Romani che lo modificarono in natrium, da cui poi la sigla "Na" che contraddistingue il sodio nella tavola degli elementi. I Romani lo usavano per lavare il bucato e nella preparazione di unguenti. Nel corso dei secoli continuò ad essere usato per la pulizia e per la cura di molti disturbi, tra cui quelli della pelle e i denti.

Ma dovremo attendere fino alla fine del Settecento quando il medico e chimico francese Nicholas Leblanc brevettò per la prima volta il bicarbonato a partire dal sale marino (cloruro di sodio) con un procedimento che richiedeva due passaggi. Il metodo era complicato e pericoloso perché avveniva ad elevate temperature e produceva residui tossici.

Nel 1861 Ernst Solvay depose il brevetto "Fabbricazione industriale del carbonato di sodio a partire da sale marino, dall'ammoniaca e dall'acido carbonico", più comunemente noto come processo SolvayIl chimico belga scopre che qualcosa di simile era già stato fatto decenni prima ma con esiti non apprezzabili anche a causa degli elevati costi. Il metodo Solvay era meno pericolo, più economico e soprattutto non produceva residui nocivi. E mentre altri studiosi cercano di replicare i risultati di Ernst senza però riuscirci, lui, insieme al fratello, fonda la Solvay & Cie nel 1863

Seguì l'ennesima svolta nella storia del bicarbonato Austin Church, medico americano che insieme all'imprenditore John Dwight sviluppò l'azienda che per prima lo promosse in America con il marchio Are&Hammer.

Il bicarbonato di sodio ha moltissimi usi e proprietà, è ecologico ed economico, e viene impiegato non solo in ambito domestico ma anche industriale.


La ricetta Soda Bread e la croce scaccia spiritelli


Ma torniamo all'Irlanda, al pane e alla sua ricetta.
La fame, finalmente, finì. Il soda bread, però, è rimasto, più o meno fedele alla tradizione, come simbolo simbolo di un popolo orgoglioso. 

Farina, latticello, sale e bicarbonato sono gli ingredienti tradizionali della ricetta, tramandata di generazione in generazione in ogni famiglia. I panifici contemporanei non hanno perso l’occasione per rivisitare il prodotto, così come cuochi e appassionati. Per cui possiamo trovare il soda bread arricchito con un uovo nell'impasto o con dei fiocchi d’avena sulla superficie.
Anche per la scelta della farina possiamo avere un soda bread con farina bianca, o integrale. 
In origine la cottura avveniva su una piastra rotonda messa direttamente sulla fiamma, ora si usa il forno. 

Ma a dispetto dei cambiamenti o personalizzazioni la forma della pagnotta rimane sempre la stessa: tonda con una croce in superficie, un’usanza comune in passato, una delle tante superstizioni legate al cibo, secondo la quale la croce allontanerebbe gli spiriti maligni che altrimenti si siederebbero sull’impasto.



Ingredienti
  • 500 g di farina per pane
  • 5 g di bicarbonato di soda per uso alimentare 
  • 5 g cucchiaino di sale 
  • 400 ml di latticello
Procedimento

Preriscalda il forno a 200° C.

Mescola tutti gli ingredienti secchi in una ciotola capiente.

Unisci il latticello e amalgama fino ad ottenere una pasta un po' appiccicosa. 

Trasferisci il composto sul piano di lavoro infarinato e forma una palla che schiacci leggermente con il palmo della mano. 

Sistema l'impasto in una teglia rivestita con carta forno, incidila con un taglio a croce profondo fin quasi alla base, spolverizza con farina la superficie. 

Inforna e cuoci il soda bread per circa 30 minuti, o fino a quando sarà cotto (dovrà essere di un bel colore dorato e battendo la base con le nocche si deve sentire un rumore sordo). 

Lascia intiepidire su gratella. 





15 luglio 2023

Melktert

Melktert

melktert, crostata con crema al latte alla vaniglia, spolverata di zucchero e cannella


La Melktert (mɛlktɛt) in afrikaans significa “torta al latte”, è un famoso dolce sudafricano. 

Insieme a Gabriella Rizzo di Homeworkandmuffin, per il progetto #frameofbreak, abbiamo preparato delle ricette sudafricane per il Mandela Day, la giornata mondiale per onorare, nel giorno della nascita, la vita e il lavoro di Nelson Mandela. La sua storia è leggenda tanto da ispirare libri e film sulla sua vita e la sua attività. Mandela è stato il primo presidente nero della Repubblica Sudafricana e La sua attività politica è stata molto rilevante: per tutta la vita si è battuto per i diritti dei neri in Sudafrica, passando per questo un totale di 27 anni in prigione. Fu una figura determinante per la fine dell’Apartheid, il sistema di segregazione razziale sudafricano. Per il suo impegno ha ricevuto un Nobel per la pace nel 1993. Dopo la presidenza del Sudafrica (1994-1999) Mandela continuerà ad essere un attivista per la giustizia sociale in tutto il mondo.

Gabriella ha preparato koeksister, deliziose frittelle e oltre che di Mandela e del suo operato ci parla anche di una cantante sudafricana nota, oltre che per la sua voce, anche per aver lottato contro il regime dell’apartheid: Miriam Makeba.

Parlando di Sudafrica la mia mente è subito andata a una mia lettura d’adolescente: "Il grido del Kalhari", di Mark e Delia Owens. Gli autori sono due naturalisti americani con la passione per la zoologia che lasciano tutto per trasferirsi a studiare gli animali nel loro ambiente naturale, nel deserto del Kalhari appunto, e vi rimarranno per ben 7 anni. Il libro scritto come un loro diario racconta dettagliatamente questa loro esperienza.

Ho poi scoperto recentemente che anche un libro per ragazzi della serie Tea Sisters parla del Sudafrica e riporta la ricetta della melktert: infatti una delle protagoniste, Pam, ha la passione della cucina e in ogni libro si troveranno riferimenti gastronomici.

fetta di melktert, crostata con crema al latte alla vaniglia, spolverata di zucchero e cannella


Melkert: storia e ricetta


La melktert è uno dei dolci più diffusi, presente nelle sale da tè e nelle pasticcerie sudafricane. La torta è formata da un croccante guscio di frolla che racchiude un goloso e cremoso ripieno a base di latte, farina, zucchero e uova. 

Assomiglia al dolce tipico portoghese pastel de nata, differendo nella consistenza più leggera e un più intenso profumo di latte. 

Le origini del dolce sono da ricercare nei coloni olandesi del XVII secolo. Ma questo non dovrebbe stupirci, infatti il Sudafrica  è “un paese che contiene un mondo intero” grazie alla coesistenza di molte culture, quella indigena locale e quella dei coloni, che si mescolano tra loro. Anche la cucina non è immune da questa fusione e viene chiamata rainbow cuisine (cucina arcobaleno) proprio grazie alle varietà e alle influenze multietniche e culturali.

Tessa Kiros nel suo libro “Falling Cloudberries”, un libro di ricette e memorie, racconta le sue esperienze di vita attraverso il cibo in giro per il mondo. Ai suoi ricordi d’infanzia del Sudafrica dedica un intero capitolo e naturalmente parla della melktert e ne scrive la ricetta.

La torta è legata alla tradizione popolare, è un dolce a basso costo con ingredienti di facile reperibilità. Risulta molto dolce e piacevolmente speziato con un ripieno vellutato e la consistenza di un budino al latte racchiuso in un guscio croccante. È perfetta in ogni momento della giornata: per una consistente colazione, un fine pasto, per una merenda o con un tè, magari un tè Roobois (un tè rosso africano), volendo anche aromatizzato.

Ingredienti 

Per la pasta:

  • 230 g di farina per dolci
  • 100 g burro freddo a cubetti
  • 100 g zucchero semolato
  • 1/2 cucchiaino lievito in polvere
  • 1 uovo 
  • 1 presa di sale

Per il ripieno

  • 750 ml latte
  • 75 g burro
  • 3 tuorli
  • 3 albumi
  • 100 g zucchero
  • 30 g frumina (o un altro amido)
  • semi di una bacca di vaniglia

Per decorare

  • 1 cucchiaio di zucchero semolato 
  • cannella in polvere


Procedimento


Comincia a preparare la pasta.

In una ciotola capiente metti burro e zucchero, lavorali con un cucchiaio di legno finché non diventa un composto soffice.

Aggiungi la farina setacciata con il lievito e il sale, impasta con la punta delle dita fino ad avere un composto sabbioso.

Unisci l’uovo leggermente sbattuto lavora il composto per amalgamare tutti gli ingredienti, forma una palla leggermente schiacciata.

Avvolgi l’impasto nella pellicola alimentare e mettila in frigorifero a riposare per un’ora.

Preriscalda il forno a 180° C.

Stendi la pasta con un mattarello su una superficie di lavoro infarinata.

Rivesti una tortiera da 26 cm di diametro.

Bucherella la pasta con i rebbi di una forchetta, copri con carta forno e inserisci dei pesi per procedere con la cottura in bianco per 20 minuti. 

Trascorso il tempo togli i pesi e la carta forno e fai asciugare il guscio in forno per altri 10 minuti.

Procedi a preparare il ripieno.

Sciogli il burro nel latte a fuoco moderato.

Sbatti i tuorli con lo zucchero.

Incidi una bacca di vaniglia, raschiane i semi e aggiungili alle uova sbattute.

Unisci anche l'amido e mescola bene con una frusta.

Aggiungi un po’ di latte caldo alle uova, mescolando per non farle impazzire.

Unisci il resto del latte e mescola fino a che non è tutto omogeneo; quindi lascia raffreddare.

Monta gli albumi a neve, e poi uniscili, in più riprese, mescolando con una frusta al composto di tuorli ormai freddo: deve venire una consistenza tipo mousse.

Versa il ripieno nella guscio della crostata, spolverizza la superficie con zucchero e cannella, inforna per 30 minuti in forno preriscaldato a 180° C.

Una volta pronto sforna, lascia raffreddare completamente e servi con una spolverata di cannella extra.

27 giugno 2023

Pain Briè

Pain Briè

pain briè

Il pain briè è un pane tradizionale della Normandia, il suo nome deriva dalla battitura della pasta, in quanto "brie" deriva dal verbo antico normanno "brier", che significa "battere".

In Francia esistono molte varianti di pane oltre alla baguette, che hanno antichi natali. Infatti, verso la fine del ‘700 nell’Encyclopédie venivano citati una trentina di diversi tipi di pane. Negli stessi anni usciva “Le Parfait Boulanger ou Traité complet sur la fabrication et le commerce du painAntoine Parmentier (1778) un trattato ufficiale sul pane e sul “perfetto panettiere”. 

In Francia la panetteria di quartiere è un posto che riunisce tutti, e non è un caso  che la parola amico "copain" contenga il termine pain, pane; un amico è qualcuno con cui condividere il pane co-pain. 

Oggi viene seguita una nuova filosofia di paysans-boulangers, gli artigiani panettieri, che si trasferiscono in campagna per gestire tutta la filiera: dal coltivare i grani antichi e rari, recuperare macine a pietra e difendere le biodiversità e le sementi. Così come in città una nuova generazione di panettieri per vocazione, artigiani, spesso laureati, legati alla tradizione ma allo stesso tempo innovativi. I panettieri in Francia sono considerati degli artigiani e vengono anche premiati con il MOF: a maggio durante la Festa del Pane vengono celebrati e con loro questo antico mestiere.

Ma torniamo al nostro pain briè con la sua singolare forma: un filone allungato nelle punte e sulla cui superficie fanno bella mostra delle incisioni longitudinali, da una punta all'altra, e ricorda lo scafo delle imbarcazioni. 

Il pane si presenta con una crosta spessa e dorata che racchiude una mollica morbida e spessa, lo completano un'aroma intenso e l'aspetto rustico.

È un impasto con poca idratazione, e la presenza del burro lo rende goloso, con l'interno morbido e una buona conservazione, infatti veniva dato ai pescatori e ai marinai.

Questo pane richiede un procedimento particolare nella lavorazione con tempi di riposo e lavoro precisi.

È perfetto spalmato di burro e marmellata, ma anche farcito con del prosciutto per una colazione salata. 

pain brie interno


Ingredienti

  • 1 kg di farina tipo 0
  • 550 ml di acqua
  • 12 g di lievito di birra fresco
  • 18 g di sale
  • 60 g di burro
  • 10 g di malto in polvere (io non l'ho messo)

Procedimento

Sciogli il lievito di birra nell'acqua.

In un'ampia ciotola, o in planetaria, metti la farina e il malto (se lo usi), iniziando ad impastare versa l'acqua.

Aggiungi il sale quando l'impasto sarà formato, lavora qualche minuto fino ad avere una pasta liscia ed omogenea.

Aggiungi il burro a pezzetti, poco alla volta, e continua ad impastare finché non sarà completamente assorbito.

Copri e lascia riposare per 10 minuti a temperatura ambiente.

Ora prendi l'impasto e sbattilo sul piano di lavoro per 5-6 volte per attivare il glutine.

Rimetti la pasta nella ciotola, copri, e lasciala lievitare per un'ora a temperatura ambiente.

Dividi l'impasto lievitato in due parti uguali. 

Ripiega ogni panetto su se stesso: porta i lembi esterni verso il centro per creare due sfere (o palle) lisce.

Sistema i due impasti in due ciotole, copri e lascia lievitare per 40 minuti a temperatura ambiente.

Capovolgi l'impazzo sul piano infarinato, allargalo leggermente e ripiegalo su se stesso dando la forma di un filone dalle punte allungate.

Mettilo su una teglia con carta carta forno, copri e lascia lievitare ancora 1 ora a temperatura ambiente.

Pratica delle incisioni sulla superficie, da una punta all'altra, il lato lungo, profonde 2 cm. 

Cuoci in forno caldo e statico a 220° C per 20 minuti, poi alza a 240° C per altri 20 minuti.


incisioni su pain briè



20 giugno 2023

I bassotti della signora Giuliana, da Chef per un Giorno

I bassotti della signora Giuliana, da Chef per un Giorno

i bassotti della signora Giuliana

I Bassotti della signora Giuliana sono un primo piatto della tradizione romagnola, chiamati anche basotti o bazòtt.

Tanto tempo fa...

Sembra l'inizio di una storia o di un racconto, e forse un po' lo è.

Tanto tempo fa, andava in onda un programma televisivo di cucina un po' particolare dal titolo “Chef per un giorno”.

Il programma "Chef per un giorno"

Il programma è stato trasmesso dal 2007 al 201, il conduttore è stato lo chef Alessandro Borghese. In ogni puntata un personaggio del mondo dello spettacolo viene invitato a vestire i panni dello chef e a proporre un menù, composto da antipasto, primo, secondo, e dolce, in un ristorante, un vero ristorante. Ad aiutarlo una brigata di sous chef ognuno specializzato in una delle portate. In sala, oltre ai clienti (reali, non è finzione) è presente anche un tavolo speciale che ospita i critici gastronomici (Fiammetta Fadda, Lorenzo Romanelli, ospiti fissi, e uno chef diverso ogni volta). 

I critici, nel corso della serata, mentre assaggiano il menù, provano a creare il profilo dello chef misterioso e commentano i piatti. Gli ospiti del ristorante e i critici non sanno che, intanto, l'ospite in cucina, insieme alla sua brigata, assiste da un monitor a quanto succede in sala e sente i commenti.

I critici a fine serata assegneranno un punteggio alla cena (da uno a cinque cappelli) e provarenno a indovinare l'dentità del cuoco misterioso. Solo alla fine della cena verrà rivelata l'identità dell'ospite chef, che saluterà la sala e siterà al tavolo dei critici per ricevere la busta con il punteggio ricevuto.

Il programma era accattivante e curioso, ritmi allegri e i piatti proposti dai personaggi appartengono alla loro storia, raccontano qualcosa di loro. Tra un assaggio, una battuta, la serata scorre piacevole, e regale delle preziose idee gastronomiche.

Dalla serie è stato pubblicato anche un ricettario, che però, ahimè, non raccoglie proprio tutti gli ospiti chef improvvisati che sono stati invitati.

La ricetta dei Bassotti

Ed eccoci arrivati alla ricetta dei Bassotti della signora Giuliana. Questa ricetta l'ha proposta Carlo Lucarelli, il celebre giallista, e come lui stesso afferma "“La signora Giuliana è la mia mamma, che preparava questa ricetta di famiglia che non ho mai visto fare a nessun altro”, e continua “I bassotti sono una specie di minestra al forno, dei tagliolini al forno, in brodo. Credo che solo chi abbia conosciuto la mia mamma, mia cognata o mia nonna li abbia assaggiati.”

I Bassotti appartengono alle ricette della tradizione romagnola. Il nome in dialetto, bazòtt, indica l'origine antica e contadina, infatti questi tagliolini erano un piatto tipico delle campagne, un tempo sembra che venissero consumati in occasione delle feste.

I bassotti sono dei tagliolini immersi nel brodo, a strati conditi con burro (una volta era strutto) e parmigiano, e fatti asciugare nel forno fino ad assorbimento completo del brodo e alla formazione dell'ambrata crosta. Il risultato di questa semplice ricetta è un piatto molto goloso, gustoso con una crosticina croccante in contrasto con l'interno morbido. Potrei definirlo un piatto da comfort food, caldo e confortante.

I Bassotti si possono preparare sia in versione monoporzione, come ho fatto io, che in una pirofila più grande e poi si tagliano le porzioni come per la pasta al forno e i timballi.


 

i bassotti della signora Giuliana

Ingredienti per 4 persone

Per i tagliolini
  • 4 uova bio 
  • 400 g di farina tipo 0
  • 1 presa di sale
Condimento
  • 100 g di burro
  • 200 g di parmigiano reggiano
  • 400 g brodo di carne
Preparazione

Preparo la sfoglia per i tagliolini (oppure si possono usare anche quelli già pronti): 1 uovo e 100 g di farina per persona. 

Metto la farina in un'ampia scodella, creo una fontana al cui centro metto le uova e il sale.

Con una forchetta sbatto le uova e incorporo poco alla volta la farina. 

Appena l'impasto diventa consistente procedo a lavorare con le mani e mi sposto su una spianatoia. Lavoro fino ad avere una pasta "che canta", ben amalgamata e elastica, se serve, perché l'impasto è troppo asciutto, mi inumidisco le mani o aggiungo pochissima acqua.

Copro l'impasto con la ciotola, o l'avvolgo nella pellicola alimentare, e lascio riposare la pasta per mezz'ora.

Ora stendo la pasta in modo sottile, puoi usare un mattarello o aiutarti con la sfogliatrice, e poi taglio in tagliolini sottili.

Preparo un brodo di carne.

Ungo con il burro le ciotola monoporzione di terracotta.

Dispongo uno strato di tagliolini sul fondo, aggiungo un cucchiaio di burro e una generosa manciata di parmigiano. Proseguo facendo un altro strato di tagliolini, poi ancora burro e parmigiano. Continuo con gli strati fino a metà della terrina.

Copro a filo con il brodo di carne e metto a cuocere in forno caldo a 200° C per 10-15 minuti.  I tagliolini devono assorbire il brodo caldo e infine essere gratinati. Se necessario aggiungere del brodo per mantenere morbido il tutto. 
Togliere dalla ciotola e impiattare.

A me piace servirli direttamente nelle ciotole di terracotta.


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