Il babà è uno dei dolci rappresentativi di Napoli. È il simbolo della dolcezza, per fare un complimento si dice "si nu' babbà" ad indicare la dolcezza e la bontà d'animo, la disponibilità, o la bellezza e si usa sia per persone che cose (e perché no anche animali).
Il babà è una cosa seria, cantava Marisa Laurito nel lontano 1989, praticamente lo scorso secolo. E come non darle ragione?
E si ‘a vita amara se fa
è una cura che fa bene
‘O babà nun po’ ingannà
Il babà è come il ciucciotto
La coperta di Linus
Se cercate un antistress
Accattateve ‘o babà
Si addolcisce cu nu babà
Il babà è una cosa seria
Cu ‘o babà nun se pazzea
Il suono della parola babà (in napoletano si scrive babbà, quindi in modo diverso da come si pronuncia) gioca sul piacere uditivo e sul successo memonico: come dimenticare un simile nome formato dalle prime due lettere dell'alfabeto?
Di babà abbiamo due versioni: quello grande la torta babà, il dolce della domenica da decorare e portare a tavola e condividere a fette e si mangia con piattino e forchetta, o le varie misure monoporzioni, a funghetto o cappello del cuoco, anch'essi bagnati e decorati ma che si possono mangiare in due tre bocconi usando le mani, magari anche continuando a passeggiare.
Storia del Babà
Anche se il babà è oramai per tutti uno dei simboli partenopei, le sue origini sono da ricercare invece in una cittadina francese del nord al confine con la Germania, Luneville.
La storia di questo dolce è raccontata da Flavia Amabile nel suo libro "Si nu' babà", edizioni Ippogrifo, 2001, arricchito dalle foto di Gérald Bruneau e dall’introduzione di Antonio Bassolino oltre che da alcune testimonianze di personaggi celebri.
Il babà deve la sua nascita all’ultimo duca di Lorena ed ex re di Polonia, Stanislao Leszczyński, suocero di Luigi XV di Francia, che aveva sposato sua figlia Maria.
La storia narra che il precursore dell’odierno babà, fosse un dolce austriaco, il kugelhopf, per metà panettone e per metà brioche, che un giorno il duca di Lorena decise di bagnare con il Madeira per ammorbidirlo. La sua passione per l’arte culinaria lo portò successivamente a farlo rielaborare: nel procedimento il dolce verrà fatto lievitare per ben 3 volte e verrà sbattuto al fine di ottenere una pasta più leggera, verrà inoltre uvetta e zafferano (ingredienti tipici della cucina turca, che il re aveva conosciuto durante la sua prigionia ad Instabul). Anche la forma cambia assumendo quella della cupola di Santa Sofia e chiamato Alì Babà (come il protagonista de "Le Mille e Una Notte").
Questa contaminazione culturale porta il prof. Fabrizio Mangoni, autore di "Di che dolce sei?" sulla fisiognomica dei dolci, a definire il babà come il "dolce dei Lumi" in quanto è "figlio di un'idea", a differenza degli altri dolci delle cui origini si sa ben poco.
Al dolce viene poi aggiunta una bagna, necessaria per mantenerne la morbidezza (altrimenti destinato ad indurire nel giro di poche ore). Il duca Stanislao Leszczyński sceglie il Madeira, mentre a Versailles si usa il rhum giamaicano, importato dalle colonie e di gran moda.
Il pasticciere polacco Sthorer, che prima era a servizio del duca Stanislao Leszczyński, seguirà e si trasferirà con la figlia del duca Maria, che nel 1725 sposerà Luigi XV. In seguito il pasticciere aprirà un suo laboratorio in Rue Montorgueil dove crea i babà a forma di fungo o cappello di cuoco, così come lo conosciamo noi.
In seguito Jean Anthelme Brillant-Savarin regala un babà a forma di ciambella, ai fratelli Julien per il loro laboratorio sul Boulevard St. Honorè. Al centro della ciambella è possibile inserire la frutta, viene eliminata l'uvetta, aggiunto il burro e una spennellata di confettura di albicocche per far durare la bagna più a lungo, e diventa semplicemente Babà.
Ma come giunse il babà dalle corti parigine a Napoli?
La risposta la possiamo trovare nelle pagine di storia, e nella rivalità tra sorelle, anche se regali. Parliamo delle figlie di Francesco duca di Lorena e imperatore d’Austria e di Maria Teresa d’Asburgo: Maria Antonietta e Maria Carolina. La prima va in sposa a Luigi XVI, nella corte francese, la seconda sposerà Ferdinando IV di Borbone. Ecco il collegamento tra Parigi e Napoli: Maria Carolina manda continuamente emissari nella corte francese per scoprire e copiare le ultime tendenze nella moda e nella cucina e replicandola nella sua corte a Napoli. Ecco come la cucina partenopea viene "influenzata" dalla cucina francese, nasce il periodo della cucina dei "monzù" con i gattò, la besciamella, gli "sciù" e i gratin. Evidentemente era possibile replicare, anche se in modo diverso, lo stile francese in una grande città come Napoli, capitale del regno Borbone.
Nel 1836 il babà viene citato come dolce tipico napoletano nel primo manuale di cucina italiana scritto da Angeletti per Maria Luigia di Parma.
Da allora di strada ne ha fatta il babà, l'ultima evoluzione è il babà al limoncello o alla crema di limone nato a Capri.
La ricetta del Babà
Fare un babà non è semplice, che sia a torta o a funghetto l'impasto è lo stesso ed è un impasto ricco che richiede alcuni accorgimenti. Di ricette se ne trovano molte.
Quella che ti propongo è la ricetta di Angela Frenda dal libro "Racconti di cucina". Ho confrontato lo scritto della Angela Frenda con la ricetta del taccuino della mia nonna, bravissima Babbaina, e devo dire che le ricette sono praticamente uguali, ma in quella di mia nonna manca il procedimento per la lavorazione, lei appuntava solo ingredienti e dosi, tutto il resto era a memoria e nella sua abilità.
A proposito viene chiamata Babbaina la signora che prepara in casa il babà.
Angela Frenda è molto chiara nei suoi passaggi, io ho solo diminuito, di pochissimo, la dose del lievito di birra usandone 25 g invece di 30 g, e sia la torta babà che i babà a funghetto o cappello da cuoco mi sono venuti perfettamente.
Come da tradizione ho poi farcito con panna e frutta fresca.
Per la bagna... bhè a te la scelta se innovativa al limoncello o tradizionale al rum, ma se ci sono dei bambini anche solo nello sciroppo profumato con scorza di limone.
Ma ora mettiamoci ad impastare.
Per l'impasto
- 500 g di farina forte
- 150 g di burro
- 70 ml di latte
- 40 g di zucchero semolato
- 25 g lievito di birra fresco
- 8 uova (440 g di uova)
- 10 g di sale fino
- una bacca di vaniglia
- 1 litro e mezzo di acqua
- 500 g di zucchero
- 150 ml di rum (o limoncello, o quello che si preferisce)
- scorza di limone (facoltativa)
- Panna montata
- Fragole
Procedimento
Setaccia la farina e inseriscila nella ciotola della planetaria con il sale.
Aggiungi un uovo alla volta e aziona la planetaria.
Versa il lievito sciolto nel latte e continua a lavorare fino a quando l'impasto si staccherà dalle pareti della ciotola.
Mescola i semi di una bacca di vaniglia con lo zucchero e il burro morbido e uniscilo all'impasto, amalgama bene.
Copri la ciotola con pellicola alimentare e lascia lievitare l'impasto al fresco per un'ora.
Versa l'impasto in uno stampo tondo fino a metà (per la forma grande) o negli stampini per mini babà, e lascia lievitare per due ore circa.
Cuoci il babà grande in forno statico preriscaldato a 170° C per 40 minuti, per i mini babà per 20-30 minuti.
Prepara la bagna con uno sciroppo di acqua e zucchero, quando l'acqua bolle aggiungere il rum e spegni.
Fai raffreddare ul babà e bagnalo a più riprese.
Completa decorando con panna e fragole.
P. S. Le ceramiche artistiche sono opera di mia zia Lucia.
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