La quiche letale

La quiche letale

La quiche letale

editato il da Nessun commento

quiche letale, tarte aux blettes

La quiche letale è una squisita quiche con le erbette che mi è stata ispirata dal libro giallo di M.C. Beaton, dal titolo Agatha Raisin e la quiche letale, edito dalla TEA.

Il libro è il primo della serie (ne conta ben 31) in cui conosciamo il personaggio di Agatha, una cinquantenne non bella, ma che non passa inosservata, dal carattere difficile, attiva, prepotente, è abituata a comandare e a farsi strada nella vita, era quel che si dice un "bel tipetto". Decide di andare in pensione anticipatamente, chiude la sua agenzia di PR, lascia Londra e si trasferisce nella campagna inglese, suo ricordo e sogno da bambina. Ha già progettato tutto, un cottage decorato e arredato da un interiori designer (a cui aveva dato carta bianca), una lista di libri da leggere e aveva intenzione di imparare a cucinare dopo una vita di cose riscaldate al microonde, take away e ristoranti, e a tal proposito "su uno scaffale della cucina, in fila, splendevano tutti i suoi nuovi libri di ricette". 

Però, però non sempre le aspettative corrispondono alla realtà: la casa non la sentiva sua con quell'arredamento, non la rispecchiava. Le persone del paese tutte cordiali ma mantenevano le distanze con la nuova arrivata. Dopo un po' Agatha si chiede se davvero sia stata la scelta giusta.

Agatha però non di arrende subito, e con il suo caparbio carattere decide che vuole inserirsi in questa nuova comunità e vuole anche diventare popolare. Vede l'occasione partecipando alla gara culinaria del paese. Però Agatha non sa cucinare, e quindi, scaltra com'è decide di "barare" e compra un'ottima quiche agli spinaci nella Quicherie World's End di Chelsea, una delle più rinomate a Londra, specializzata in torte salate.

Dopo la gara il giudice viene trovato morto e sembra che sia stato avvelenato mangiando la quiche di Agatha... ma sarà davvero così? sarà davvero un incidente?

Agatha non ne è convinta, soprattutto vuole riabilitare il suo nome agli occhi della comunità, e inizia ad indagare... cosa scoprirà?

Intanto farà nuove conoscenze ed amicizie, e verrà a conoscenze che sopra la superficie per bene della comunità ci sono segreti nascosti. Ma in tutto questo scoprirà anche nuovi lati di sé stessa.

Dai libri è stata tratta anche una serie televisiva britannica.

Agatha Raisin fa parte della narrativa cozy mistery, ossia dei gialli non cruenti, ma sempre garbati, ha caratteristiche ricorrenti che rendono la lettura assolutamente piacevole per il lettore. Ritroviamo le ambientazioni e i personaggi principali nel corso dei libri che diventano familiari; il protagonista non fa parte della polizia è un "detective dilettante", si ritrova ad investigare. 

Il personaggio di Agatha Raisin lo apprezziamo proprio per il suo carattere, per come ci viene descritto con tutti i lati buoni e i suoi difetti. Anzi sono proprio i suoi difetti che la rendono più umana e simile a noi, e proprio per questo ci viene facile perdonarle certe mancanze o debolezze.

Libro dopo libro ci appassioniamo a questo personaggio e vogliamo sapere cosa altro le succede, come procede la sua vita, cosa farà ora Agatha.

Il ritmo narrativo è scorrevole, veloce e non manca un sano umorismo inglese tra le pagine.

Assolutamente da leggere.

quiche letale, tarte aux blettes

La quiche letale

La quiche, come ho detto, mi è stata ispirata dal libro di Agatha, il primo, solo che invece degli spinaci ho preferito usare le erbette, le bietole
Nel libro non è scritta la ricetta e così me la sono "inventata" con gli indizi disseminati nel libro.
Di base le quiche sono tutte uguali: un guscio di brisée, l'appareil (la pastella), quello che variano sono gli altri ingredienti. 
Per seguire il fil rouge del libro erbette, e per richiamare dei sapori greci la feta. Immancabile per me la noce moscata.
La quiche croccante fuori e cremosa dentro, delicata e ben bilanciata, letalmente deliziosa.

Ingredienti

Per la brisée (per uno stampo da 26 cm)

250 g di farina 00
150 g di burro freddo
55 g d'uovo bio (1 medio piccolo)
1 o 2 cucchiai di acqua ghiacciata
1/2 cucchiaino di sale

Per il ripieno

200 g di bietole
1 uovo
2 tuorli
200 g di panna fresca
50 g di latte fresco
100 g di feta
un pizzico di sale
noce moscata grattugiata a piacere

Sistema la farina in una ciotola e aggiungi il burro a pezzetti, il sale e l'uovo. Inizia ad impastare usando solo i polpastrelli, strofinando i pezzetti di burro con la farina, fino a quando non otterrai un impasto tutto sbriciolato. Ora prosegui a lavorare in modo più energico, in ciotola o su un piano di lavoro, fino a formare un impasto omogeneo. Se risultasse troppo asciutto, potrai aiutarti con uno o due cucchiai di acqua fredda, ghiacciata, procedendo uno alla volta.

Una volta ottenuto una pasta omogenea, avvolgila nella pellicola, schiacciala leggermente e mettila in frigorifero a riposare per 30-45 minuti, in modo che il burro si rapprenda di nuovo e la pasta sia ben stendibile.

Stendi la pasta nello spessore di 3-4 mm, aiutati usando due fogli di carta forno, così non si attaccherà al mattarello. Ora puoi inserirla nello stampo per la quiche, falla aderire bengala base e al bordo, elimina l'eccesso e bucherella il fondo con i rebbi di una forchetta. Copri con carta forno e rimetti in frigo per 20 minuti o in freezer per 5.

Preriscalda il forno a 180° C. 

Procedi a fare una cottura in bianco del guscio di pasta brisée. Sistema dei pesi sulla carta forno all'interno del guscio e inforna per 15 minuti. Poi togli i pesi e la carta forno e procedi con altri 12 minuti di cottura.

Sbianca le bietole: dopo averle pulite e lavate mettile in acqua bollente, attendi che l'acqua riprenda il bollore, quindi scolale le bietole e immergile in acqua ghiacciata. In questo modo manterranno il loro bel colore verde.

Prepara l'appareil: mescola insieme in una ciotola l'uovo, i tuorli, la panna, il latte, un pizzico di sale e la noce moscata.

Prendi la stampo con la brisée cotta, sistema le bietole scolate e strizzate, spargi la feta sbriciolata e infine copri tutto con l'appareil. 

Inforna per 25-35 minuti, fino a quando la parte liquida sarà diventata soda e i bordi della quiche saranno dorati.

Servi tiepida.

Challah buns

Challah buns

Challah buns

editato il da Nessun commento

challah buns

 

La challah è un pane bianco israeliano a forma di treccia che viene consumato durante lo Shabbat (giorno di festa, riposo, degli ebrei), il cui gusto è leggermente dolce. 

Questo pane, come è successo per i bagels, è ormai noto in tutto il mondo, e non esiste bakery inglese o americana che non ne abbia qualcuna in bella vista sul suo banco, non solo nei giorni comandati di festa, ma tutti i giorni della settimana.

L'intreccio e gli impasti, a cui era legato un profondo significato simbolico, viene meno, diventando più un esercizio di stile delle bakery.

Stamattina abbiamo scelto l'idea della ricetta dal libro di Csaba dalla Zorza "The Modern Baker", i suoi mini challah erano molto invianti. 

Come la stessa autrice scrive, questa è una versione occidentale della ricetta classica ebraica, in quanto viene usato il burro, in questo modo finisce con l'assomigliare a un pan brioche dal sapore più neutro.

La forma e l'idea di un panino che rimane morbido e versatile per ogni tipo di ingrediente da usare per farcirlo ha ispirato la richiesta di casa, con la modifica, però, di non aggiungere semini sulla superficie.

Ed ora la mia versione dove lo zucchero è stato sostituito dal miele e le dosi di lievito di birra fresco ridotte allungando i tempi di lievitazione, così i mini challah diventano challah buns.


Ingredienti

500 g di farina 0 media forza
200 g di acqua
5 g di lievito di birra
75 g di burro
2 cucchiai di miele (o 50 g di zucchero)
60 g uova (1 uovo)
5 g di sale

Per completare

1 uovo sbattuto con 1 cucchiaio di latte


Nella ciotola della planetaria, munita di gancio ad uncino, metti la farina con il sale e mescola.

In una caraffa sciogli nell'acqua il miele e il lievito.

Versa i liquidi sulla farina, lentamente, con la planetaria in azione. Poi aggiungi l'uovo leggermente sbattuto. Infine il burro, un pezzo alla volta, e non inserire il successivo fino a quando non è stato assorbito il precedente.

Continua a far lavorare la planetaria fino a quando non avrai una pasta omogenea e liscia.

Trasferisci l'impasto sul piano di lavoro e procedi a fare per tre volte un giro di pieghe. Poi dai la forma di una palla e metti la pasta in una ciotola, coperta con pellicola alimentare, a lievitare fino al raddoppio del volume. Il tempo di lievitazione varierà in base alla temperatura ambiente e alla quantità di lievito di birra impiegato. Con le mie dosi ci vorranno circa 4 ore di lievitazione. 

Quando la pasta sarà lievitata mettila sul piano di lavoro e dividila in pezzi tutti uguali (aiutati con una bilancia). Cerca di non aggiungere farina e procedi a fare un giro di pieghe per tre volte per ogni pezzo di impasto, poi allungalo usando i palmi delle mani, sino a formare un rotolino lungo circa 25 cm e spesso poco più di 1 cm. 

Arrotola ogni filoncino su se stesso, fermandolo inserendo l'estremità che resta sopra dentro la spirale.

Sistema i challah buns sulle teglie rivestite con carta forno, copri con pellicola alimentare e lasciali lievitare.

Preriscalda il forno a 210° C in modalità statica. Spennella delicatamente la superficie dei panini con uovo e latte sbattuti insieme. Inforna e cuoci per 15 minuti circa, fino a quando saranno gonfi e dorati. Sfornali e lasciali intiepidire e raffreddare su una griglia. 

Per conservarli, una volta raffreddati, puoi surgelarli e scaldarli quando ti servono così resteranno sempre molto soffici come appena fatti.

Brioche di Nanterre...

Brioche di Nanterre...

Brioche di Nanterre...

editato il da Nessun commento
brioche di Nanterre


La brioche di Nanterre è un meraviglioso pan brioche soffice e burroso, poco dolce si accompagna sia con ingredienti dolci che salati. Chiamata così da Pierre Hermè, andrebbe realizzato con il lievito di birra e lunghi tempi di riposo e lievitazione. 

L'origine della brioche risale al Medioevo e faceva parte dei dolci delle feste che venivano serviti per le grandi occasioni o per eventi speciali.

L'etimologia del nome rimane misteriosa, ci sono molte ipotesi in merito. Tra quelle più "credibili" ci sarebbe quella che la "brioche" derivi dal verbo "brier" o "grid" in normanno, il cui senso sarebbe "impastare con un rullo di legno", a cui è stato aggiunto il suffisso "oche" ad indicare il risultato dell'azione. Altre ipotesi attribuiscono che la brioche fosse una specialità degli abitanti di St-Brieuc (briochini).

La ricetta della brioche di base è fondamentalmente la stessa e simile tra le varie versioni; gli ingredienti sostanzialmente sono uova, burro, farina e zucchero. Però, come spesso succede, la ricetta base può venire modificata e adattata, in questo caso, dalle varie regioni della Francia per sfornare la "loro" brioche.

Questo piccolo preambolo solo per arrivare a fare un'introduzione alla brioche di Nanterre, un comune francese sito nella periferia occidentale di Parigi. Questa brioche si presenta di forma rettangolare. L'impasto viene diviso in otto pezzi uguali, con i quali si formano delle palline che verranno strette e allineate sul fondo di uno stampo imburrato (se di silicone non serve imburrarlo). Durante la cottura saliranno e si attaccheranno tra di loro formando un tutt'uno.

Per realizzare questa ricetta però è importante rispettare alcune regole:

  • il burro deve essere un burro di qualità, per questa ricetta è necessario che sia un burro da panna di centrifuga, con una percentuale di massa grassa almeno dell’82%-83%. È fondamentale, si sente, ed è per questo che non può essere sostituito e deve essere ottimo.
  • Per questo impasto, molto ricco di burro, ti consiglio di usare una planetaria (volendo raffreddate il gancio ad uncino nel freezer per un'ora) per lavorarlo. A mano si può impastare, ma sarà molto faticoso, lungo, e soprattutto il burro si scalderà e anche l'impasto.
  • La farina deve essere di media forza o forte, per poter reggere la lunga lievitazione.

Se si seguono queste accortezze si riuscirà ad avere un pan brioche filante, leggero come una nuvola e senza dover usare il metodo orientale Hokkaido per cominciare bene la giornata. 

Come noterai nella lista degli ingredienti ho indicato il rinfresco dolce per la pasta madre. Nonostante sia stato detto che per la realizzazione si dovrebbe usare solo il lievito di birra, è comunque possibile, con le dovute accortezze, usare anche con la pasta madre. 

Prima di scrivere la ricetta ho preparato la brioche di Nanterre sia con la pasta madre che con il lievito di birra e il risultato è stato avere comunque un prodotto soffice come una nuvola che si manterrà per giorni. Se hai la pasta madre segui tutto il procedimento facendo anche il rinfresco dolce, se invece usi il lievito di birra, salta il pezzo della pasta madre e inizia sciogliendo il lievito nel latte.

Per realizzare la brioche ci vorrà solo molta pazienza, tempo da dedicare all'impasto, e partire il giorno prima nella lavorazione... ma come per tutte le cose che richiedono tempo, l'attesa verrà ripagata con una brioche soffice e dai sapori ben equilibrati, delicati e bilanciati.

È deliziosa appena sfornata, ottima sia a colazione che con il tè delle cinque, a merenda. Non necessita di aggiunte, ma se vuoi con un po' di confettura o marmellata è perfetta. 


Ingredienti

Rinfresco dolce della pasta madre

40 g di pasta madre rinfrescata e attiva
40 g di farina frumento forte
40 ml di latte
10 g di zucchero

Impasto brioche per due forme

400 g di farina di frumento forte w 260-300 (500 g se si usa lievito di birra)
120 g di pasta madre dolce (o 12 g di lievito di birra fresco)
30 g di zucchero (60 g per impasto con lievito birra)
6 uova intere (300 g)
240 g di burro morbido
1 cucchiaino di sale
60 g di latte
tuorlo, latte e ½ cucchiaino di zucchero a velo per spennellare (facoltativo)


Per prima cosa prepara la pasta madre dolce: rinfresca la pasta madre attiva (quindi con già un rinfresco) con latte, zucchero e farina. Lavora e metti a lievitare.

Nella planetaria metti la pasta madre dolce e il latte e aziona la macchina con il gancio K. 

Se usi il lievito di birra scioglilo prima nel latte.

Aggiungi la farina e lo zucchero. Quando è tutto ben amalgamato inserisci le uova, uno alla volta, lascia assorbire ogni uovo prima di aggiungerne un altro. Continua ad impastare finché non si stacca dalle pareti, sempre a media velocità.

Ora metti il burro un po’ alla volta, fai assorbire prima di metterne altro.

Infine aggiungi il sale. 

Ora cambia il gancio, metti l’uncino e lavora ancora 10 minuti per far incordare bene l’impasto: deve risultare lucido ed elastico e staccarsi dalle pareti.

Togli la pasta dalla planetaria, fai un giro di pieghe e mettila a lievitare in ciotola, coperta con pellicola, per un’ora. Poi trasferisci in frigorifero e lascia riposare per 8 ore.

Riporta l’impasto a temperatura ambiente, fallo lievitare fino al raddoppio del volume, circa un paio di ore. Poi sgonfialo e dividilo in 9 pezzi tutti uguali, forma delle palline e disponile, con la chiusura sotto, su due file in uno stampo rettangolare foderato o imburrato. Copri con pellicola alimentare e fai lievitare per un'altra ora. 

Intanto preriscalda il forno in modalità statica a 180° C.

Se ti piace, spennella la superficie dell’impasto lievitato con un tuorlo e un cucchiaio di latte sbattuti, volendo anche con ½ cucchiaio di zucchero a velo.

Cuoci a 175° C per 30-40 minuti, prima di sfornare controlla sempre la cottura e se serve allunga i tempi di 10 minuti.

Quando pronta, sforna, fai riposare qualche minuto nello stampo, poi sformalo e lascialo raffreddare…

Per conservare la brioche puoi tagliarla a fette, o a pezzi, e congelarla. Potrai poi scongelarla e scaldarla (magari al microonde con la funzione defrost) così da averla sempre soffice e profumate come appena sfornata. A proposito sono ottime anche tostate. 

Pane Portmanteau di Lewis Carrol

Pane Portmanteau di Lewis Carrol

Pane Portmanteau di Lewis Carrol

editato il da Nessun commento
pane portmandeau di Carroll


Il pane Portmanteau si trova in Alice attraverso lo Specchio di Lewis Carroll.

Il nome di questo pane si deve alle "parole portmandeau" quelle che Lewis Carroll amava creare unendo e mettendo insieme due o più parole diverse.

La ricetta si trova nel libro di Cristina Caneva, "La tavola delle meraviglie. In cucina con Alice", Il Leone Verde Edizioni, 2008. Fa parte della collana gastronomica "Leggere è un gusto! percorsi tra cucina, letteratura e...", di cui ho fatto un'altra recensione sul sito di AIFB.

Il libro di Cristina Caneva è assolutamente affascinante, l'autrice docente di lingua e letteratura inglese e appassionata della cucina anglosassone (secondo lei non tenuta nell'adeguata considerazione nel mondo gastronomico), fa un'analisi approfondita dei testi di Alice nel Paese delle Meraviglie e Alice Attraverso lo Specchio. L'autrice evidenzia i temi cari a Lewis Carroll, a partire dal gioco linguistico del suo pseudonimo, i giochi di parole e logici, il mondo alla rovescia, la legge del ribaltamento e dell'inversione, i giochi (la corsa Caucus, le carte e gli scacchi) e le regole, il linguaggio particolare, le rime le assonanze e le parole portmandeau o parole-baule (vera invenzione carrolliana). 

Cristina Caneva fa riflettere anche sulla difficoltà nel tradurre i testi di Carroll che sono "ricchi di neologismi, assonanze e giochi di parole da risultare difficilmente riproducibili in altre lingue". Ma anche per gli studiosi, infatti Carroll inserisce nei testi delle filastrocche e ballate neologismi derivanti da parole inglesi arcaiche e obsolete. 

Nella narrativa di Carroll, inoltre, un significato e posto importante è dato al cibo, infatti si parla di cibo in ogni pagina dei due libri di Alice, è sempre presente. Il cibo è “descritto o evocato, consumato o solo desiderato, costituisce una sorta di ritornello, di trama nascosta nell’opera di Carroll, dove ricorre continuamente, anche attraverso disquisizioni, storielle e filastrocche".

Il cibo ricopre nella fiaba una funzione rituale, e ha un valore molto più complesso e profondo del semplice sostentamento: il cibo appaga i sensi, ma anche la mente e la fantasia. Di questo Carroll e lo ritroviamo in molti suoi scritti, ma è stato anche il tema di una sua conferenza "Nutrire la mente".

Ma il cibo è anche un'avventura, tutte le volte, non sai mai cosa accadrà, ha un valore ambivalente, è dotato di poteri magici e ha un lato minaccioso (chi mangia può a sua volta venire mangiato). Nella bizzarra logica del Mondo delle Meraviglie, si può azzardare un sillogismo (tanto caro a Carroll) per capire il modello secondo cui tutto quello che entra in contatto con il cibo diventa a sua volta cibo (vedi ad esempio l'orologio che viene spalmato di burro, il burro si spalma sul pane, l'orologio è pane). Aggiungiamo il nonsense e il tema delle metamorfosi: come gli oggetti e i personaggi possono diventare cibo, allo stesso modo il cibo può diventare un personaggio, in una sorta di circolarità.

Il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach sosteneva che "l'uomo è ciò che mangia", e anche in Alice assistiamo al cibo che influenza carattere e umore dei personaggi. Il cibo poi può essere consolatorio (il comfort food), dare appagamento, ma può anche essere un premio o un pericolo (quello di restare soffocati), o una minaccia, o terapeutico. In questi molti sensi del cibo dobbiamo ancora ricordare che può essere ristoratore e rinnovare le forze, oppure essere una tortura come quando il Tempo, in Alice attraverso lo Specchio, blocca il rito del tè in un ciclo infinito.

E a tal proposito possiamo notare come sia il rito del tè a scandire il tempo in modo non lineare ma circolare e ripetitivo. Pare che Carroll amasse il tè e se lo preparava da solo seguendo procedure particolari (a modo suo). L'importanza di questa bevanda per Carroll e per tutti gli inglesi, spinge l'autrice a dedicargli delle pagine. 

C'è da dire che in Alice il cibo non è mai un vero e proprio pasto, ma non più degli spuntini, e a volte se ne parla solamente.

In conclusione consiglio agli estimatori di Lewis Carroll, e dei fantastici mondo di Alice, la lettura del testo di Cristina Caneva, La tavola delle meraviglie, anzi è uno di quei testi che non possono mancare nella biblioteca personale.


La ricetta: il Pane Portmamteau

pagnotta portmandeau di Carroll


Questo pane si chiama proprio come l'invenzione linguistica di Lewis Carroll delle parole portmanteau, infatti è allo stesso tempo un pane bianco e un pane nero. Cristina Caneva dice che si ispira al capitolo di "Alice attraverso lo Specchio" ("Il Leone e l'Unicorno") in cui vengono distribuiti questi due tipi di pane.

Per correttezza ti trascrivo la ricetta presente sul libro, anche se io ho ridotto di 1/3 le dosi indicate e al posto del lievito di birra secco ho usato quello fresco. Sulla superficie del pane, prima di infornarlo, ho inciso una spirale, a ricordare la circolarità infinita che caratterizza i libri di Alice.

Ingredienti

1 kg e 1/2 di farina bianca (per pane)
500 g di farina integrale
60 g di burro
15 g di lievito secco
15 g di sale
1 litro e 1/5 di acqua

Sciogli il lievito con un po' d'acqua. Versa la farina e il sale in una grossa terrina e mescolale. Fai un foro al centro (una fontana) e versa il composto con il lievito e inizia a lavorare.

Fai sciogliere il burro e aggiungilo alla farina.

Versa l'acqua poco alla volta amalgamando bene gli ingredienti con le dita. Continua a lavorare la pasta con le mani per 15-20 minuti, finché non risulta elastica e consistente come creta. Copri la terrina con un canovaccio umido e mettila in un luogo caldo per la lievitazione. Dovrebbero bastare due ore per farla raddoppiare. Altrimenti puoi lasciarla lievitare durante la notte.

Quando è gonfia impastala ancora delicatamente e dividila in 4 parti. Metti la pagnotte negli stampi per il pane ben oliati, o riponili, nella forma desiderata, su una teglia unta d'olio. Lascia lievitare in un luogo caldo per 45-60 minuti. Preriscalda il forno a 230° C. Inforna lasciando cuocere per circa 45 minuti.


Consiglio del Bianconiglio: servi a fette imburrate e spalmate con la Oxford Marmellate (presente nel libro)



Sandwich al cetriolo per l'ora del tè

Sandwich al cetriolo per l'ora del tè

Sandwich al cetriolo per l'ora del tè

editato il da Nessun commento

sandwich al cetriolo con pane alla curcuma


Sandwich al cetriolo con pane bauletto o cassetta alla curcuma, un buon tè caldo fumante e un libro, quello che moltissimi anni fa mi fece conoscere la cucina inglese con usi e costumi. Non è un libro di cucina ma un romanzo umoristico inglese di P.G. Wodehouse.

Ricorre oggi la giornata mondiale del libro e del diritto d'autore, io e le mie amiche, Gioia e Gabriella, abbiamo pensato di celebrarla a modo nostro, da appassionate di libri e cucina nella nostra rubrica #frameofbreak.

Gioia Barbieri ripercorre il testo di Pellegrino Artusi, e nel mentre prepara e mangia la torta di noci del celebre gastronomo e scrittore.

Gabriella Rizzo si lascia coinvolgere dalla Signorina Euforbia, protagonista del libro "La signorina Euforbia" proprietaria di una pasticceria che fa solo pasticcini su misura, e ci delizia con una mousse alle cinque spezia.

La cucina è innegabilmente parte integrante della vita e cultura di ogni individuo, tanto da trovare spazio anche all'interno della letteratura e nelle altri arti.

A questo proposito vorrei far riflettere su coloro che scrivono di cucina che non scrivono solo ricette ma raccontano storie attraverso il cibo evocando ricordi e sentimenti.

Proprio a questo proposito, nella giornata mondiale del libro, un libro può ispirare una ricetta, ed eccomi a raccontare di un autore che ho molto amato e che per anni mi ha accompagnato e solleticato il palato con le descrizioni dei piatti della cucina inglese aristocratica, e della "merenda" delle cinque con l'ora del tè.  Sto parlando di P.G. Wodehouse, scrittore e umorista inglese del XX secolo, scrisse molti libri, alcuni che possono essere definiti delle serie in quanto ritroviamo dei personaggi a lui cari, le trame complicate e linguaggio sofisticato. Recentemente ho scoperto che tra le sue numerose opere Wodehouse ha scritto anche testi di canzoni, una commedia musicale e delle raccolte di racconti.

L'ho scoperto iniziando a leggere la serie di romanzi del filone del Castello di Blandings, ma Wodehouse aveva già introdotto i personaggi e il luogo che lo accompagnerà per molti scritti, nei precedenti romanzi. Ovviamente i testi, le trame e l'umorismo di Wodehouse nel descrivere i personaggi e le situazioni mi hanno conquistato tanto che nella mia libreria ho una bella raccolta di suoi libri, e non li ho ancora tutti perché ne ha scritti davvero tanti. 

Un altro filone è quello dedicato a Jeeves. Qui il protagonista è il maggiordomo che immancabilmente riesce a risolvere le ingarbugliate situazioni in cui Bertie Wooster e i suoi amici si ritrovano.

Ma sarebbe davvero un elenco lunghissimo se dovessi riportare tutta la bibliografia di Wodehouse.

Quello che accomuna tutti i libri di Wodehouse sono le trame che si somigliano e sono quasi tutti ambientati nella prima metà del Novecento. I personaggi appartengono all'aristocrazia inglese, dalla psicologia elementare e comportamenti ripetitivi, a modo loro semplici e con una propensione fondamentale verso la futilità. Lo schema narrativo è dettagliato, ma quello che è interessante è il funzionamento della macchina narrativa: il meccanismo del riso. La tecnica umoristica di Wodehouse si basa sulla ripetizione e sull'addensamento delle situazioni e personaggi che si accavallano nell'intreccio narrativo. A risolvere le situazioni arrivano sempre degli "aiutanti" esterni, di solito maggiordomi, segretari o amici. Il ritmo è in crescendo fino alla soluzione, di solito l'happy end finale. Anche se i personaggi e le trame si somigliano quando si inizia a leggere uno dei suoi romanzi, sappiamo già come finirà, ma non conosciamo cosa succede in mezzo. Ecco proprio lo svilupparsi della trama è la differenza dove piano piano si sistemano tutti i pezzi, con un ritmo crescente dei colpi di scena, puntuali e precisi, un uso della lingua inglese sofisticato e particolare (attento anche ai suoni linguistici) e una magistrale struttura ironica. In tutto questo impossibile non trovarsi coinvolti nella lettura.

Ma nella costruzione dei suoi romanzi Wodehouse non dimentica di descriverci con dovizia di particolarità le situazioni conviviali, riti, usi e costumi enogastronomici dei suoi personaggi e la loro società.

Proprio grazie a queste particolari descrizioni, molti anni fa, lessi dei sandwich al cetriolo serviti durante l'ora del tè. Per anni mi sono chiesta come potessero essere questi sandwich, per me cresciuta con il tè e un accompagnamento dolce, un biscotto, una madeleine. Tutto questo fino a poco tempo fa, quando finalmente ho trovato un autentico locale inglese nella sabauda Torino e mi sono regalata il tè all'inglese. Mi sono ritrovata in un autentico rito del tè delle cinque di quelli aristocratici di cui avevo tante volte letto. Il tè accompagnato da preparazioni dolci e salate ed anche un flûte di bollicine.

Ammetto che dopo tutte quelle bontà non ho fatto cena, comunque ho scoperto che i sandwich al cetriolo mi piacciono moltissimo.

La ricetta

Così eccomi oggi a prepararmi dei sandwich al cetriolo con la variante del pane alla curcuma. Solitamente la crosta del pane andrebbe tolta, ma io l'ho lasciata, era la mia pausa letteraria con il tè, e il pane è talmente soffice che non dava assolutamente fastidio. Ma se stai organizzando un elegante tè all'inglese la crosta del sandwich ti consiglio di eliminare. 

Naturalmente la curcuma puoi anche non usarla se non ti piace, non cambierà il risultato finale del classico pane che viene usato anche per fare i club sandwich.

pan bauletto alla curcuma


Ingredienti

430 g di farina forte per pane
230-250 g di acqua
40 g di burro
3 g di lievito di birra fresco
1/2 o 1 cucchiaino di curcuma
1 cucchiaino di miele (o zucchero)
1 cucchiaino di sale
1 cetriolo
burro morbido o formaggio spalmabile

Sciogli il lievito di birra nell'acqua con un cucchiaino di zucchero o miele.

Puoi lavorare a mano iniziando a impastare in una ciotola capiente o con la planetaria con il gancio ad uncino.

Mescola la farina con la curcuma e il sale, lentamente versa l'acqua con il lievito e inizia lavorare l'impasto. Appena la farina avrà assorbito l'acqua aggiungi il burro morbido a pezzetti, uno alla volta, aspetta che il primo venga inglobato prima di unire il successivo. Continua. a lavorare l'impasto finché non sarà ben incordato ed elastico. Ora procedi a fare un giro di pieghe e poi sistema la pasta in ciotola, copri con pellicola alimentare e lascia lievitare fino al raddoppio.

Quando l'impasto sarà lievitato spostalo su un piano di lavoro e schiaccialo un po' per dare una forma ovale. Ora ripiega verso il centro l'estremità destra dell'ovale, poi l'estremità sinistra sempre verso il centro, premi leggermente per sigillare l'impasto. Ora dovrei avere una forma più o meno rettangolare. A questo punto puoi iniziare a dare all'impasto la forma di una pagnotta di pan carrè: tira e ripiega l'estremità superiore del rettangolo di un terzo verso il centro, premendola nell'impasto. Gira l'impasto di 180° e prendi l'estremità superiore, tira e ripiega verso il centro e premi nell'impasto. Continua un questo modo fino ad avere un panetto regolare e leggermente piatto lungo più o meno le dimensioni dello stampo. Sistema l'impasto nello stampo con la chiusura verso il basso. Copri con pellicola alimentare e lascia lievitare fino al raddoppio del volume.

Preriscalda il forno a 250° C statico (per riscaldarlo puoi usare anche la funzione ventilato e poi lo riporti a statico). Appena il pane ha completato la sua lievitazione, elimina la pellicola e sistemalo a metà nel forno già caldo. Metti sul fondo un pentolino con l'acqua e abbassa la temperatura a 200° C. Cuoci per circa 30-35 minuti o finché non è dorato. Per controllare se il pane è cotto, toglilo dallo stampo e dai un colpetto sul fondo: dovrebbe suonare vuoto. Se non è pronto rimettilo in forno e continua la cottura per qualche altro minuto. Se è pronto, invece, mettilo a raffreddare su una griglia.

Ora prepara il cetriolo, puliscilo, se non ti piace la buccia eliminala con un pelapatate. Ora affetta il cetriolo con il pelapatate, salalo leggermente e mettilo a scolare.

Quando il pane è ben freddo taglialo a fette, spalma del burro morbido o del formaggio spalmabile su entrambe le fette, sistema delle fette di cetriolo, elimina la crosta se vuoi un vero British tea style, poi taglia il sandwich a metà creando o due triangoli o due rettangoli. Sistema su un piatto e servili insieme al tè. 




Fluffy Kasetura o Castella cake

Fluffy Kasetura o Castella cake

Fluffy Kasetura o Castella cake

editato il da Nessun commento

Fluffy Kasutera o Castella cake


La fluffy Kasetura o Castella cake, è un sofficissimo pan di Spagna giapponese, leggero come una nuvola, delicato in bocca come una mousse.


Questa torta è stata portata in Giappone nel XVI secolo dai mercanti portoghesi, e ora è una specialità della regione di Nagasaki.


Qui in versione naked cake con panna e fragole (era una torta di compleanno). Semplice, ma assolutamente deliziosa e fresca, poco dolce, tanto da lasciare la voglia di volerne ancora.

Ingredienti

7 uova medie
140 g di farina per dolci
170 g di latte
140 g di zucchero semolato
85 g di olio di semi (io di girasole spremitura a freddo)
buccia di 1 limone grattugiata (o arancia o vaniglia)

Per completare

500 g di fragole
200 g di panna fresca da montare
1 cucchiaio di zucchero a velo vanigliato

              

Dividi i tuorli dagli albumi.

Monta i tuorli con lo zucchero, aggiungi la buccia grattugiata del limone (o l'aroma che preferisci).

Versa a filo l'olio tiepido mentre continui ad amalgamare con la frusta, poi il latte. Infine aggiungi la farina, mescola bene per creare una pastella liscia.

Monta a neve gli albumi.

Ora in tre volte, incorpora gli albumi montati all'impasto, mescolando con una frusta. Gli albumi si smonteranno, ma è giusto così: l'impasto deve essere simile a una mousse.

Rivesti uno stampo da 20 cm con carta forno (di solito si usa uno stampo quadrato, io ho preferito il rotondo).

Versa l'impasto nella tortiera, se a cerniera rivesti l'esterno con l'alluminio alimentare.

Passa uno stecchino nell'impasto della torta, con un movimento a zig zag per eliminare le bolle d'aria (io ho sbattuto lo stampo sul tavolo).

Ora metti lo stampo in un bagnomaria caldo a 40° C, il livello del bagnomaria deve essere di 2 cm di altezza.

Cuoci in forno preriscaldato statico a 160° C per 20 minuti, poi abbassa a 125° C per i restanti 40-50 minuti (anche 60 dipende dal forno).

Quando la torta sarà pronta (io faccio sempre la prova stecchino per sicurezza), sfornala e toglila dal bagnomaria.

Lasciala riposare nello stampo e dopo 15-20 minuti, delicatamente estraila dalla tortiera.

La torta è buonissima tiepida, da sola o accompagnata con della panna. Puoi servirla insieme a un tè o un caffè.

In frigo si conserva fino a 5 giorni, nel freezer fino a un mese.

Una volta estratta dallo stampo, se vuoi usarla come base da tagliare a strati, lasciala raffreddare completamente. Io l'ho fatta il giorno prima.

Taglia la torta in due o tre strati. Monta la panna con un cucchiaio di zucchero a velo. Pulisci le fragole, tieni da parte quelle più piccole e belle da usare per decorare e taglia le altre.

Ora sistema il primo strato di pan di Spagna su un piatto da portata, spalma la panna montata e distribuisci una parte di fragole tagliate. Sopra sistema il secondo strato di pan di Spagna, di nuovo panna e il resto delle fragole tagliate. Metti l'ultimo strato di pan di Spagna, ricopri con la pannava superficie e anche i lati del dolce. Passa una spatola sui lati per eliminare della panna e dare l'effetto naked cake, in cui si intravede la torta. Sistema le fragole sulla superficie e servi il dolce.




Hot Cross Buns

Hot Cross Buns

Hot Cross Buns

editato il da 2 commenti
hot cross buns


Gli Hot Cross Buns, letteralmente panini con la croce, sono dei panini dolci speziati e arricchiti con uvetta (a volte anche con canditi), sulla cui superficie fa mostra di sé una glassa che forma una croce. Sono deliziosi, soffici, e carini, si dice che portino fortuna e salute a chi li mangia.

Vengono preparati nei paesi anglosassoni nel periodo di Pasqua, più precisamente preparati e mangiati il venerdì santo, sono attesi dai bambini inglesi come simbolo pasquale.

La croce sui panini ha origine dal rito pagano dei Sassoni che festeggiavano la fine dell'inverno, era il simbolo delle quattro fasi lunari, poi con il cattolicesimo assunse il significato della crocifissione di Cristo. Infatti i panini si preparano il venerdì santo, finita la quaresima (dove molti ingredienti erano vietati), magari facendosi aiutare dai bambini, che durante l'attesa della lievitazione raccontano poesie e filastrocche.
La più antica, ma sembra anche la più nota pare sia questa:
Hot cross buns, hot cross buns,
One a penny, two a penny,
Hot cross buns,
If you have no daughters,
give them to your sons
One a penny, two a penny,
Hot cross buns
But if you ave none of these little elves
Then you may eat them all yourselves! 

Le leggende legate alle più antiche tradizioni inglesi riguardanti questi panini dolci raccontano che i panini, dopo la cottura, venivano appesi al soffitto con un filo in segno di portafortuna. Narrano anche che se preparati il venerdì santo i panini non ammuffiscono e possono restare appesi tutto l'anno per essere donati ad ogni nuovo ospite della casa. Se un malato ne mangia un pezzo lo aiuta a riprendersi. Inoltre se portati a bordo di una nave che deve fare un viaggio per mare, la proteggono dai naufragi. Ancora se appesi in cucina proteggono la casa dagli incendi. La storia dice anche che chi divide un buns e lo mangia insieme resterà amico per sempre.

Insomma questi panini, la cui ricetta originale pare che risalga al XII secolo, sono davvero portentosi e speciali, tanto che divennero popolari in Inghilterra nel XVII secolo, quando erano particolarmente di moda i ricchi impasti lievitati. Più che all'ora del tè sono solitamente consumati a colazione. Si possono mangiare così come escono dal forno oppure tagliarli e farcirli con un po' di burro e marmellata o confettura, in vero British style, accompagnandoli con un tè.

Gli hot cross buns sono una presenza fissa sulle tavole di Downton Abbey, e in diverse scene è possibile vederli mentre si raffreddano nella cucina della signora Patmore.

Gli hot cross buns sono una vera golosità e farli una sola volta l'anno è troppo poco.

hot cross buns

Ingredienti

Per l'impasto

500 g di farina 0 (W260-280, proteine 12,50%)
200 g di latte 
100 g di acqua
100 g uvetta
60 g di burro
50 g di zucchero semolato
10 g di lievito di birra fresco
1 uovo
1 cucchiaino di spezie miste (cannella, noce moscata, zenzero)
buccia di un'arancia grattugiata
buccia di un limone grattugiato
1 cucchiaino di sale
tè nero delicato

Per la glassa e le croci

4 cucchiai di farina
1 cucchiaio di zucchero
50-60 g di acqua
1 cucchiaio di confettura o gelatina di albicocche 
1/2 cucchiaio d'acqua

Inizia mettendo l'uvetta in ammollo nel tè nero per farla rinvenire.

Scalda l'acqua, unisci il latte e scioglici il lievito, metti da parte per far riposare.

Nel boccale della planetaria metti la farina con lo zucchero, inizia a mescolare con il gancio ad uncino e gradualmente versa il latte con il lievito sciolto. Appena i liquidi saranno assorbiti aggiungi l'uovo leggermente sbattuto, e poi il burro un pezzetto alla volta. Infine metti il sale e le bucce grattugiate degli agrumi. Continua a lavorare l'impasto fino a quando non sarà ben incordato ed elastico. Ora procedi a fare un giro di pieghe e dopo sistemalo in una ciotola copri con pellicola alimentare e metti a lievitare fino al raddoppio.

Appena l'impasto è lievitato spostalo su un piano di lavoro e allargalo. Aggiungi ora l'uvetta ammollata e scolata bene, procedi facendo delle pieghe per inglobare l'uvetta nella pasta.

Dividi l'impasto in pezzi tutti uguali, più o meno, procedi a fare delle pieghe e a pirlare, roteare la pasta con il palmo della mano, per dare la forma sferica, formare una pallina. 

Rivesti con la carta forno una teglia e metti il panino formato con la chiusura rivolta verso il basso. Quando avrai sistemato tutti i panini corpi con pellicola alimentare e lasciali lievitare finché non saranno gonfi.

Preriscalda il forno in modalità statica a 180° C.

Prepara la pastella per le croci: in una ciotola mescola la farina con lo zucchero e diluisci con l'acqua. Devi ottenere una crema liscia. Metti la pastella in una piccola sac à poche con bocchetta liscia da 2 mm circa, spremila su ogni panino formando una croce prima di infornare.

Cuoci i panini per circa 25 minuti. appena sfornati lucida la superficie con della confettura (o gelatina) di albicocche resa liscia con un po' di acqua.

Metti ora i buns a intiepidire su una griglia per dolci.


Pagnottielli...o panini napoletani...

Pagnottielli...o panini napoletani...

Pagnottielli...o panini napoletani...

editato il da 4 commenti

 

panino napoletano

Pagnottielli, così li chiamano i napoletani, sono degli appetitosi, soffici, saporiti rustici, saccottini di pasta lievitata ripieni di salumi e formaggi e uova sode (chi vuole), a cui è difficile resistere, specie se mangiati caldi o tiepidi, sono un grande classico della cucina partenopea.

La scelta degli ingredienti naturalmente può variare in base ai gusti personali.

L’impasto è simile a quello che si fa per il casatiello o il tòrtano: si può usare sia con lo strutto o, se si preferisce l’olio d’oliva (io extravergine d’oliva), farina, lievito, acqua e sale. La differenza rispetto al grande lievitato è che il panino viene già diviso e cotto in monoporzioni.

L’origine dei panini napoletani, come molti piatti della tradizione partenopea, è popolare e antica. Nascono nelle cucine delle massaie come piatto di riciclo in cui vengono inseriti nell’impasto del pane, per insaporirlo, degli ingredienti avanzati in dispensa. Successivamente questo piatto, preparato velocemente e con pochi soldi, si diffuse come street food noto in tutto il mondo come “pagnottiello”.

Li ho preparati sia in versione classica con lo strutto, che in versione più leggera con l’olio. Ho diviso l’impasto base del pane in due parti uguali: in uno ho usato lo strutto e nell’altro l’olio. Ho voluto assaggiare entrambe le versioni… entrambe deliziose, anche se quella con l’olio rimane un po’ più leggera.

Si può eseguire la ricetta usando entrambi i grassi insieme, sia olio che strutto o sceglierne uno solo, in quel caso raddoppiando la quantità indicata (da 30 g metterne 60-70 di strutto, o 4 cucchiai di olio). Non ho usato nel ripieno le uova sode perché non a tutti piacciono.

I miei pagnottielli sono serviti per un picnic, non avevo il tempo di tornare a casa per il pranzo, così caldi caldi appena sfornati, li ho messi in un sacchetto del pane con qualche tovagliolo e l’acqua, e me li sono portati dietro. Il loro profumo ha riempito e si è sparso per tutta l’auto, e vi assicuro che è stata dura fare il tragitto senza addentarli. 

Sedute lungo il fiume a gustarci il soffice, goloso e buonissimo pagnottiello ancora caldo… golosità pura…



Ingredienti


Impasto
500 g di farina tipo 0 forte
150 g di pasta madre rinfrescata (o 5 g di lievito di birra fresco)
30 g di strutto
30 g di olio extravergine d’oliva
250 g di acqua
½ cucchiaino di miele
1 presa di sale

Ripieno
200 g di salame (meglio se il tipo Napoli)
150 g di provola
parmigiano grattugiato
pepe macinato fresco (facoltativo)
per chi vuole 3 uova sode

Finitura
uovo e un cucchiaio di latte per spennellare (facoltativo)

In una ciotola capiente metti la farina, crea una fontana al centro e inserito la pasta madre rinfrescata al doppio del suo volume, attiva. 

Aggiungi il miele e parte dell’acqua con la quale ammorbidisci e sciogli la pasta madre (o il lievito di birra), e  lentamente incorpora la farina all’impasto. Poco alla volta aggiunga la restante  acqua. L'impasto deve risultare morbido. Tinti un po' di acqua da parte in cui sciogliere il sale, poi aggiungila all'impasto. Lavora bene per amalgamare tutti gli ingredienti.

Ora, se vuoi provare e realizzare i panini con i due tipi di grassi (strutto e olio), devi dividere l'impasto in due parti uguali. In un inserirai l'olio e nell'altra lo strutto. Continua a lavorare gli impasti fino a quando non saranno ben incordati ed elastici. 

Sistema i due impasti in due ciotole, copri con pellicola alimentare e mettili a lievitare.

Procedi a preparare il ripieno: taglia la provola e il salame a cubetti tutti, più o meno, della stessa misura. Grattugia il parmigiano. E, infine, se vuoi fai anche le uova sode da tagliare, anch’esse, a dadini.

Quando l’impasto è bello lievitato mettilo su un piano di lavoro leggermente infarinato e delicatamente stendilo in un rettangolo il più possibile regolare, nello spessore più o meno di 1/2 centimetro. Spargi sulla pasta il parmigiano, la provola e il salame, tienti un centimetro dal bordo. Arrotola ora l’impasto con il ripieno e chiudo bene le estremità. 

Ora devi dividere il rotolo in pezzi di 4-5 cm di larghezza. Sistema i panini ottenuti su una teglia rivestita con carta forno, copri con pellicola alimentare e lascia nuovamente lievitare.

Preriscaldo il forno a 180°C in modalità statica.

Quando i panini saranno lievitati, spennella la superficie con un uovo sbattuto con un po’ di latte, inforna e cuoci per circa 25-30 minuti.

Una volta cotti trasferisci su gratella per farli intiepidire un po’ prima di servirli.

panini napoletani

I panini napoletani si conservano per due o tre giorni in frigorifero, o si possono surgelare, avendo l’accortezza di scaldarli prima di servirli.

Casatiello

Casatiello

Casatiello

editato il da Nessun commento

casatiello

Il casatiello è immancabile a Pasqua e Pasquetta.

Anche se questo anno si passa in casa questo non significa che dobbiamo rinunciare alle nostre tradizioni. 

Quest'anno provo la ricetta del maestro Gino Sorbillo per realizzare un bel casatiello.

Non me ne voglia il maestro ma qualche piccola modifica alla sua ricetta ho dovuto apportarla, ma si tratta solo di cambiare qualche ingrediente (che qui magari non si trova) e soprattutto ho dimezzato le dosi degli ingredienti da lui indicate: lui parte usando 1 kg di farina, e  poche modifiche rispetto alla ricetta del maestro, e una è quella di dimezzare le dosi da lui date. Con 1 kg di farina si riescono a fare due bei casatielli. 

Preparare un casatiello non presente particolari difficoltà, salvo che si ha sempre a che fare con un lievitato e si devono rispettare alcune regole.

La ricetta di Sorbillo prevede l’uso del lievito di birra, altri preferiscono la pasta madre, vanno entrambi bene, cambiano i tempi di lievitazione e anche l’aroma.

Di seguito le regole, poche, ma importanti da rispettare:

  • il casatiello prevede, anzi, deve avere le uova sia nel ripieno che sopra, altrimenti è un tòrtano. Anche lo stampo di cottura cambia: il tòrtano uno stampo circolare, mentre il casatiello vuole lo stampo a ciambella.
  • Vietato sostituire lo strutto con il burro. Volendo si può usare la sugna, o altrimenti l’olio d’oliva (nel blog trovate anche la versione senza strutto e con l’olio).
  • Non bisogna essere impazienti nella lievitazione. Molto dipende dal lievito usato: se pasta madre, lunga lunghissima lievitazione, tutta la notte; se lievito di birra, come in questo caso, dipende da quanti grammi ne verranno utilizzati, minore la dose del lievito di birra impiegato più lunga sarà la lievitazione.
  • Importante la scelta della farina: deve essere di tipo per pane pizze, quindi un tipo di farina medio forte.
  • Rispettare le proporzioni tra impasto e ripieno: il ripieno deve essere il 60% della farina. I casatielli miseri e tristi, tutta pasta e poco ripieno, non si possono vedere.
  • Per rispettare la tradizione anche lo stampo usato ha la sua importanza: usare il “ruoto” o uno stampo alto da ciambella. Questo perché lo stampo con buco nel centro, infatti, assicura una cottura più uniforme, soprattutto con impasti così ricchi.

Ora veniamo alla ricetta per realizzare questo lievitato salato corposo e goloso… 


Ingredienti

500 g di farina (io tipo 1 medio forte)
375 g di acqua tiepida
70 g di strutto
5 g di lievito di birra
pepe nero macinato fresco q.b.
10 g di sale 
150 g di formaggi misti (provola a dadini, parmigiano grattugiato e cacioricotta)
150 g di salumi misti (io avevo solo salame tipo napoletano)
4 uova sode (2 per l’impasto e 2 per decorazione)

Sciogli il lievito in acqua tiepida, poi unisci la farina, il sale, il pepe, lo strutto e comincia ad impastare a mano (puoi usare anche la planetaria).

Lavora per una decina di minuti, fino a ottenere un impasto liscio e omogeneo, simile a quello della pizza. Copri e lascia lievitare circa 8 ore,  fino a quando non sarà raddoppiato di volume (se invece avrai usato 25 g di lievito basteranno alcune ore).

Una volta lievitato, riprendi l’impasto e stendilo su una superficie spolverizzata di farina, nello spessore di poco meno di un centimetro ricavandone una sfoglia ovale. Ricorda di tenerti da parte un pezzetto d’impasto che servirà per fare la “croce” sulle uova.

Il maestro Gino Sorbillo ora spennella un po’ di strutto sulla sfoglia, io non l’ho fatto.

Distribuisci sulla pasta i formaggi e i salumi tagliati a dadini e grattugiati, e per ultime 2 uova sode anch’esse tagliate a cubetti.

Arrotola l’impasto partendo dal lato lungo, chiudendo le due estremità tra di loro (o infilandole una dentro l’altra, come consiglia Sorbillo), così il ripieno non uscirà durante la cottura.

Nuovamente Sorbillo unge di strutto, o di burro, un “ruoto”, o uno stampo a ciambella, e vi sistema il casatiello, io tralascio di ungere lo stampo.

Ora a chi piace (io preferisco di no) spennella la superficie con un uovo sbattuto.

Con le mani crea due incavi, due fossette, in cui sistemi le altre due uova sode (qualcuno le mette crude) col guscio. Con la pasta tenuta da parte fai delle strisce da mettere sulle uova a formare una croce (Sorbillo le fa di circa mezzo centimetro di larghezza), fissandone le estremità alla superficie della ciambella.

casatiello prima di infornare

Lascia nuovamente lievitare il casatiello, coperto, fino a quando l’impasto raddoppia o comunque arriva al bordo del ruoto (potrebbero essere necessarie diverse ore, a seconda della quantità di lievito utilizzata, anche un giorno intero).

Cuoci in forno caldo a 180°C per 45-60 minuti, o comunque fino a completa cottura. Per evitare che le strisce di pasta sulle uova brucino, dopo 30 minuti puoi coprirle con un foglio di carta d’alluminio.

Il casatiello si conserva al massimo per due o tre giorni, poi, come tutti i lievitati, tende a indurire. 

Io l’ho avvolto in un canovaccio di cotone per mantenerlo morbido.

Casatiello...

Casatiello...

Casatiello...

editato il da 2 commenti


casatiello

Il casatiello, un pane rustico salato tipico campano, partenopeo, a forma di ciambella che viene preparata per Pasqua, anche se, a dire il vero, ogni occasione è buona per "fa o casatiello". 
Ha origini antichissime, suo parente stretto è il tòrtano, identica preparazione ma senza le uova e non necessariamente a forma di ciambella.
Il nome casatiello, deriva da "caseus" (formaggio) in napoletano "caso", cacio, e le sue origini si fanno risalire alla Napoli prima greca e poi romana. Nella letteratura greca, in effetti, già si legge di pani conditi con diversi ingredienti.

Inizialmente servito durante le feste primaverili in onore di Demetra o Cerere, per i romani, diventa, poi, simbolo della Pasqua cattolica simboleggiando la corona di spine di Cristo.
Le origini del casatiello vanno ricercate in quelle del pane, perché di pane si tratta. Il fatto che in Campania pastiera e casatiello caratterizzassero le celebrazioni conviviali della Pasqua è documentato sin dal 1500 nell’opera di Giovanni Battista Del Tufo, "Ritratto o modello delle grandezze, delizie e meraviglie della nobilissima città di Napoli", con una breve composizione in lode del casatiello intitolata “Usanza pasquali e cassatelli napoletani”.
“A Pasqua poi non son più dolci quelli chiamati cassatelli cotti con uova, cacio e provature, zucchero fino, acqua di rose e fiori, e con altra mistura, come si fanno allor per ogni canto la sera al tardi del Sabato Santo”.

 

Nel 1600, Giambattista Basile lo cita insieme alla pastiera napoletana ne “La Gatta Cenerentola”, opera, che descrive i festeggiamenti del re per trovare la fanciulla che aveva perso la scarpetta.

Col tempo la sua produzione si è strettamente legata alla festa pasquale e ad una simbolicità religiosa dimostrata dalla decorazione con le uova, simbolo pasquale per eccellenza. Veniva preparato il venerdì Santo, fatto lievitare tutta la notte e cotto poi il sabato Santo. Si festeggiava la fine della quaresima, e all'interno venivano messi tutti i "rimasugli" (se così si può dire) della dispensa invernale, dai formaggi agli insaccati... veniva messo tutto all'interno.

Il casatiello è perfetto per il pranzo al sacco, è diventato il protagonista immancabile delle gite e dei pic-nic tipici del lunedì Santo.

Preparare il casatiello non presenta particolari difficoltà, ma bisogna pur sempre fare attenzione, è pur sempre un lievitato. 

Alcuni accorgimenti per un buon casatiello:
  • per l’impasto si usa lo strutto o l’olio, non il burro;
  • libertà di scelta su tipo di lievito da usare, lievito di birra, o pasta madre, questo influenzerà anche il sapore finale. Inoltre con il lievito di birra si può scegliere la quantità da usare a seconda della lievitazione che si desidera, lenta o più celere. Sulla scelta del tipo di lievito e lievitazione va un po’ a gusto;
  • importante la proporzione tra impasto, la pasta di pane, e il ripieno che deve essere circa il 60% della farina, ossia su 1 kilo di farina il ripieno dovrebbe essere diviso con 300-350 g di salumi e 300-350 g di formaggi misti freschi e stagionati;
  • lo stampo in cui far cuocere: il casatiello vuole categoricamente lo stampo alto a ciambella, il motivo non è solo di natura estetica, ma il buco centrale aiuta e assicura una cottura uniforme per impasti così ricchi.

casatiello

Le uova messe sul casatiello sono inserite crude e col guscio, vengono coperte con della pasta di pane a forma di croce e, una volta in forno, diventeranno sode, importante lavare bene il guscio prima di inserirle nell'impasto. Le uova possono essere messe anche sode e spezzettate insieme al ripieno. 

Infine, per rispettare la tradizione fino in fondo,  per preparare il casatiello bisogna usare "il ruoto" o comunque uno stampo a ciambella alto. Non è solo una questione estetica ma anche funzionale: lo stampo con buco nel centro, infatti, assicura una cottura più uniforme, mancando della parte centrale, la più lenta a cuocere, soprattutto in impasti ricchi e di grossa pezzatura. Se non avete lo stampo a ciambella potete fare come ho fatto io: ho preso uno stampo normale con i bordi alti e al centro ho messo un bicchiere leggermente unto con dell'olio.

Non resta che provarlo e  la casa si riempirà di un profumo particolarissimo, il casatiello è una vera goduria per il naso, per la vista e, soprattutto, per il palato...

Ingredienti

  • 1 kg di farina (io tipo 1 forte)
  • 600-700 g acqua
  • 150 g di olio d'oliva (io extravergine)
  • 70 g di pasta madre essiccata (oppure 10 g di lievito di birra o 25 g per una lievitazione veloce)
  • 25 g di sale integrale fine
  • pepe q.b.
  • 300-350 g di formaggi misti stagionati e morbidi (pecorino, parmigiano, etc)
  • 300-350 g di salumi misti
  • 4 uova sode bio per il ripieno
  • 4 uova bio per la decorazione
  • 1 uovo per spennellare
Inizia a preparare la pasta: impasta la farina con la pasta madre, acqua e olio, per ultimo unisco il sale sciolto in poca acqua e il pepe, puoi aiutarti con la planetaria per lavorare. 
Impasta per una decina di minuti, fino a ottenere un impasto liscio e omogeneo, simile a quello della pizza. 
Prendi la pasta, fai un giro di pieghe, e poi sistemata in una ciotola capiente, copri con pellicola alimentare e metti a lievitare.
Nel frattempo prepara il ripieno: taglia i formaggi e il salame a cubetti, più o meno della stessa grandezza, grattugia i formaggi stagionati, e taglio anche a dadini le uova sode. 
Appena l'impasto sarà lievitato mettilo su un piano leggermente infarinato e dividilo in due parti. Per mia comodità ho preferito preparare due casatielli invece di uno solo grande, ma puoi procedere come preferisci e farne anche uno grande. 
Tieni da parte un pezzo di pasta che ti servirà per fare le croci per fissare le uova sulla superficie.
Stendi l'impasto, sul piano di lavoro leggermente infarinata, nello spessore di poco meno di un centimetro ricavandone una sfoglia ovale.

ripieno casatiello

Distribuisci il ripieno, di salumi, formaggi e uova, nella sfoglia, tenendoti 1 cm dal bordo.
Arrotola l’impasto partendo dal lato lungo, chiudendo le due estremità tra di loro (o infilandole una dentro l’altra), così il ripieno non uscirà durante la cottura. 
Ungi leggermente uno stampo da ciambella e sistemaci il casatiello. Spennella la superficie del casatiello con l'uovo sbattuto. 
Ora fai 2 fossette in cui sistemare delicatamente le uova crude, col guscio ben pulito. Con la pasta tenuta da parte fai delle strisce di circa mezzo centimetro di larghezza e mettile sulle uova a formare una croce, fissandone le estremità alla superficie. 
Metti a lievitare ancora il casatiello, fino al raddoppio del volume, o finché l'impasto non arriva al bordo del ruoto (potrebbero essere necessarie diverse ore, a seconda della quantità di lievito utilizzata, anche un giorno intero).
Cuoci in forno statico caldo a 180°C per 45-60 minuti, o comunque fino a completa cottura. Per evitare che le strisce di pasta sulle uova brucino, dopo 30 minuti di cottura puoi coprire la superficie del casatiello con un foglio di carta d’alluminio.
Il casatiello si conserva al massimo per due o tre giorni, poi, come tutti i lievitati, tende a indurire.

casatiello lievitazione

Tòrtano o casatiello?

Tòrtano o casatiello?

Tòrtano o casatiello?

editato il da Nessun commento

 tortano

Il tòrtano, parente sconosciuto del famoso casatiello. Salvo alcune piccole sottigliezze, non indiffernti per la tradizione, si potrebbero facilmente confondere per quando sono simili. Entrambi torte salate, dei rustici, di pasta di pane lievitata arrotolata e farcita. 
Ma da cosa riconoscerli allora? 
Per la tradizione il casatiello si dovrebbe fare solo a Pasqua, deve essere di forma a ciambella (quindi buco in centro), deve avere uova sode nell’impasto e le uova col guscio sopra la torta tenute ferme da una croce di pasta (che appunto simboleggia la croce Pasquale). 
Il tòrtano invece non ha le uova sulla superficie, non è obbligatorio che abbia uova sode nell’impasto, e può avere qualsiasi forma a ciambella, forma intera a torta senza buco, e ci si mette un po’ quel che si vuole. 

Prepararlo non presenta particolari difficoltà ma bisogna stare attenti a non incappare in alcuni errori:
  • per l’impasto si usa lo strutto o l’olio, non il burro;
  • libertà di scelta su tipo di lievito da usare, lievito di birra, o pasta madre, questo influenzerà anche il sapore finale. Inoltre con il lievito di birra si può scegliere la quantità da usare a seconda della lievitazione che si desidera, lenta o più veloce. Sulla scelta del tipo di lievito e lievitazione va un po’ a gusto;
  • importante la proporzione tra impasto, la pasta di pane, e il ripieno che deve essere circa il 60% della farina, ossia su 1 kg di farina 600g devono essere di ripieno diviso tra salumi e formaggi;
  • lo stampo in cui far cuocere: il casatiello vuole categoricamente lo stampo alto a ciambella, il motivo non è solo di natura estetica, ma il buco centrale aiuta e assicura una cottura uniforme per impasti così ricchi. Come dicevo il tòrtano segue altre regole, può essere cotto anche in uno stampo circolare.
Ho scelto di preparare il tòrtano al posto del casatiello in quanto fuori periodo pasquale, in occasione di una merenda dolce e salata… inoltre è perfetto da portarsi per una pausa pranzo al posto di pizze o panini… tanto per variare. 
Il mio impasto base l’ho fatto usando farina tipo 1 forte, lievito madre essiccata e olio d’oliva, ho farcito con provola e salame tagliati a cubetti più o meno della stessa dimensione e formaggi grattugiati… Alchimie di sapori, profumi e consistenze particolari, golosissime... Si può mangiare freddo o tiepido... io personalmente, se posso, preferisco servirlo tiepido per avere un'esplosione di profumi e sapori... in modo che sia invitante a tutti i sensi... una fetta non è sufficiente… non si smetterebbe di mangiarne talmente le sensazioni vengono piacevolmente solleticate, stuzzicate… nemmeno a dirlo non è durato nemmeno due giorni…

Ingredienti

500 g di farina tipo 1
250/300 g d’acqua
75/80 g di olio d’oliva
35 g di pasta madre secca (o 5-10 g di lievito di birra fresco)
10 g di sale fino integrale
pepe q.b.
150 g di formaggi (parmigiano grattugiato, provola a cubetti, volendo pecorino o cacioricotta stagionata)
150 g di salumi misti (io ho usato salame… quello più simile al tipo napoli)
1 uovo per spennellare
Inizia a preparare la pasta: impasta la farina con la pasta madre, un cucchiaino di miele, acqua e olio, per ultimo unisci il sale sciolto in poca acqua e il pepe. Si può fare a mano o in impastatrice. 
Lavora per una decina di minuti, fino a ottenere un impasto liscio e omogeneo, simile a quello della pizza. 
Metti la pasta in una ciotola, copri con pellicola alimentare e lascia lievitare in un posto tiepido fino a che non sarà raddoppiato di volume. 
Nel frattempo prepara il ripieno: taglia la provola e il salame a cubetti, più o meno della stessa grandezza e grattugia i formaggi. 
Appena l'impasto sarà lievitato, mettilo su un piano di lavoro leggermente spolverato di farina e stendilo nello spessore di poco meno di un centimetro ricavandone una sfoglia ovale. 
Distribuisci il ripieno nella sfoglia, arrotola l’impasto partendo dal lato lungo, chiudendo le due estremità tra di loro (o infilandole una dentro l’altra), in modo che il ripieno non esca durante la cottura. Ungi leggermente uno stampo da ciambella, sistemaci il tòrtano, e fai nuovamente lievitare fino al raddoppio. 
Prima di infornare spennella delicatamente la superficie del tòrtano con un uovo sbattuto, poi cottura in forno statico preriscaldato a 180° C per 45-60 minuti, o comunque fino a completa cottura. 
Se la superficie dovesse scurirsi troppo, dopo 30 minuti copri con un foglio di alluminio. 
Il tòrtano si conserva al massimo per due o tre giorni, poi, come tutti i lievitati, tende a indurire.


interno tortano

Cornetto bicolore vaniglia e cacao

Cornetto bicolore vaniglia e cacao

Cornetto bicolore vaniglia e cacao

editato il da Nessun commento

cornetti bicolore vaniglia e cacao


I cornetti bicolore sono deliziose soffici brioche in cui due impasti di colore diverso si alternano in una spirale rendendo questa colazione, o merenda, una gioia da vedere, golosa da mangiare, profumata.

Credo che tutti restiamo affascinati e incantati dalla semplice bellezza di questo lievitato, se poi aggiungiamo che sono anche buoni e rallegrano la nostra colazione o la nostra pausa, che altro si può volere?

Forse possiamo renderli ancora più golosi farcendoli con una crema, una confettura o della crema spalmabile.

La ricetta è semplice, i cornetti sono di pasta brioche all'italiana sia quello alla vaniglia che quello al cacao, che una volta stesi, sovrapposti e arrotolati creano quella bella spirale bicolore.

Per realizzarla ci vuole solo un po' di pazienza, ma alla fine avrai una sana colazione o merenda, che farà felici grandi e piccini. 

A te la scelta di quale impasto mettere dentro e quale fuori, io ho preferito quello al cacao dentro, ma quale che sia la tua preferenza il risultato sarà comunque ipnotico in questo gioco di spirale colorata.

La delicatezza e il profumo di vaniglia abbraccia il cacao nella sua purezza, come uno ying e uno yang che si rincorrono all'infinito, un gioco di equilibri aromatici, cromatici e di sapori.

Non ti resta che provarli, e con le mie istruzioni, un po' di tempo e pazienza, ti ritroverai avvolta in questa magia dei sensi.


Ingredienti

Impasto alla vaniglia

250 g di farina tipo 0 (230-260 W)
2,5 g di lievito di birra fresco
1 uovo
100 g di latte
60 g di zucchero
60 g di burro
1 cucchiaino di vaniglia tritata
1 presa di sale

Impasto al cacao

220 g di farina tipo 0 (230-260 W)
30 g di cacao amaro 
2,5 g di lievito di birra fresco
1 uovo
100 g di latte
60 g di zucchero
60 g di burro

Per completare

50 g di acqua
50 g di zucchero


Inizia con l'impasto alla vaniglia. 

Nella ciotola della planetaria versa la farina con il sale e la vaniglia.

In un boccale metti il latte con lo zucchero e scioglici il lievito di birra.

Versa il latte nella farina con la planetaria in movimento. Poi unisci l'uovo leggermente sbattuto. Quando l'uovo è stato assorbito dall'impasto aggiungi il burro a pezzetti, uno alla volta e non aggiungere il successivo se il primo non è stato inglobato. Quando l'impasto è lucido, liscio ed elastico, spostalo su un piano di lavoro. Fai un giro di pieghe, forma una palla e mettilo in una ciotola, coperta (meglio se con pellicola alimentare) a lievitare fino al raddoppio.

Procedi ora con l'impasto al cacao.

Nella ciotola della planetaria mescola la farina con il cacao e il sale.

In un boccale metti il latte, lo zucchero e scioglici il lievito di birra.

Versa il latte nelle polveri con la planetaria in movimento. Poi unisci l'uovo leggermente sbattuto. Quando l'uovo è stato assorbito dall'impasto aggiungi il burro a pezzetti, uno alla volta e non aggiungere il successivo se il primo non è stato inglobato. Quando l'impasto è lucido, liscio ed elastico, spostalo su un piano di lavoro. Fai un giro di pieghe, forma una palla e mettilo in una ciotola, coperta (meglio se con pellicola alimentare) a lievitare fino al raddoppio.

Quando gli impasti saranno lievitati prendi quello bianco, spostalo su un piano di lavoro e stendilo in un rettangolo, più o meno regolare, dello spessore di 0,5 cm, e metti da parte.

Fai lo stesso con la pasta al cacao, e tieni come riferimento le misure dell'impasto bianco.

Ora spennella un po' di acqua sull'impasto al cacao e poi sovrapponi quello alla vaniglia. Gira l'impasto e metti quello alla vaniglia sotto, a contatto con il piano di lavoro, e quello al cacao sopra rivolto verso di te (puoi anche invertire, dipende da quale impasto vuoi che si veda fuori e quale dentro). Stendi, assottiglia, nuovamente i due impasti ora sovrapposti. Dividi ora l'impasto in triangoli, decidi tu la grandezza dei tuoi cornetti. 

Se vuoi, prima di chiuderli puoi inserire il ripieno che preferisci vicino la parte larga (la base del tuo triangolo). Ora arrotola dalla base verso il vertice, tirando leggermente la punta. 

Metti i cornetti formati su una teglie rivestita con carta forno, poi copri e lascia lievitare.

Preriscalda il forno statico a 160° C, inforna i cornetti e fai cuocere per 20 minuti circa. Se la superficie si dovesse scurire troppo, puoi coprirli o impostare la cottura solo sotto.

Nel frattempo prepara lo sciroppo: versa in un pentolino l'acqua con lo zucchero e metti sul fuoco a sciogliere. Quando il liquido sarà trasparente spegni e sposta il pentolino.

Appena avrai sfornato i cornetti spennella la superficie con lo sciroppo e spostali su una griglia per dolci a raffreddare.

Sono ottimi tiepidi, e per conservarli io li surgelo e li scaldo quando servono, in queso modo saranno sempre come appena fatti.

cornetti all'italiana



 


 

American apple pie à la mode

American apple pie à la mode

American apple pie à la mode

editato il da Nessun commento



american apple pie à la mode

L'American apple pie à la mode è la torta di mele americana, quella di Nonna Papera per intenderci, che viene servita calda con una pallina di gelato o panna montata.

Con questa torta festeggio World Cake Day insieme alle amiche Gioia e Gabriella, e rientra nel nostro progetto #frameofbreak, colazioni e merende culturali.

Penso di averlo già detto: io adoro le torte di mele, sanno di casa, sanno di buono sono un comfort food senza stagione, quindi ogni occasione è buona per farne una, trovare nuove ricette e nuovi abbinamenti. Che dire poi del profumo che pervade casa mentre cuoce. Se poi aggiungo anche che magari questa particolare torta è stata ispirata o è presente in un libro o in un film, meglio ancora.

Il film

Ed eccoci arrivare quindi a questa particolare apple pie, che quasi passa inosservata nel film Harry ti presento Sally (When Harry Met Sally), del 1989, con Billy Cristal e Meg Ryan, regia di Ron Reiner, sceneggiato da Nora Ephron. Una commedia divertente, leggera, con un buon ritmo narrativo, piena di dialoghi e scene passate alla storia. 

È uno di quei film da vedere almeno una volta nella vita. È stato inserito dall’American Film Institute nella lista delle migliori commedie statunitensi, il film ha superato i confini della commedia romantica per diventare un vero e proprio cult. Sono pochi gli elementi che fanno di questa pellicola una commedia brillante, in grado di emozionare gli spettatori senza ricorrere alle mille banalità del genere. A partire dall’interpretazione brillante di Meg Ryan e Billy Crystal, alla colonna sonora di Harry Connick jr, fino ai dialoghi esilaranti fra Harry e Sally.

Il film rappresentò per i due attori protagonisti, Billy Crystal e Meg Ryan, l’opportunità di consolidare la loro fama in patria e di farsi conoscere fuori dagli USA, grazie al grande successo di pubblico e di critica che ottenne la pellicola. Il film fu candidato all’Oscar per la migliore sceneggiatura di Nora Ephron, e a cinque Golden Globe.

La trama

La trama della commedia si sviluppa nell'arco di 10 anni. Il primo incontro di Sally (Meg Ryan) e di Harry (Billy Crystal) risale al periodo universitario, dove, senza conoscersi ed avendo un’amica in comune, intraprendono il viaggio in auto di ritorno a New York insieme. Una volta giunti alla meta, si salutano, pensando di non rivedersi mai più. Invece, ciclicamente, i due si incontreranno casualmente. Questi diversi incontri faranno si che il loro rapporto, piano piano, si trasformi da una semplice conoscenza ad amicizia, fino a giungere all’amore e quindi al matrimonio. L'arco temporale è intervallato da interviste a coppie e alla loro particolare storia.

Nel film non ci sono impedimenti o particolari ostacoli a separare Harry e Sally, né alcuna tensione fra odio e amore: è solo la storia di due persone normali che si incontrano e iniziano a parlare, parlano di amore, sesso e amicizia, bisticciano, diventano amici e finiscono per innamorarsi. Lo fanno con arguzia e ironia, senza cadere nei mille stereotipi delle commedie romantiche, ed è proprio in questo equilibrio  fra romanticismo e comicità a rendere così speciale questo film.

Lo vedo e rivedo e non mi stanca mai, nonostante conosca il film a memoria.

La scena più famosa

Del film la scena più famosa, e che rientra tra le scene cult mitiche della storia del cinema, è senza ombra di dubbio quella di Harry e Sally durante una pausa pranzo insieme e il finto orgasmo di Sally, per dimostrare a Harry che le donne possono fingere. È semplicemente memorabile, che dire della signora che ordina "quello che ha preso lei"? Un curiosità questa signora è la mamma del regista.

Certo rispetto a questa scena forse quella dell'ordinazione a inizio film passa un po' in secondo piano. Però è comunque una scena, a parer mio, significativa: le poche scene iniziali mettono già le basi di quello che potrà essere il rapporto tra i due personaggi, e inoltre svela già i loro caratteri e le loro "manie". 

"A parte"

Ma torniamo a Harry e Sally, e soprattutto a questa speciale apple pie. 

Dobbiamo tornare all'inizio del film, al viaggio da Chicago a New York. I protagonisti, durante questo viaggio, fanno una sosta per la cena e qui assistiamo all'ordine di Sally, che lascia a dir poco attoniti Harry e la cameriera, la quale a un certo punto smette anche di scrivere sul taccuino.

Sally: …E poi la torta di mele…
Cameriera: …chef e torta di mele…
Sally: …ma la torta la voglio riscaldata e non ci voglio il gelato sopra, lo voglio a lato e che sia di fragole, non di crema se possibile, se no niente gelato, solo panna, ma panna vera, se è in lattina allora niente.
Cameriera: Neanche la torta?
Sally: No! La torta la prendo, ma non riscaldata!
Cameriera: Ah, ah.

Ecco questo "a parte" tornerà in tutto il film: questa sua caratteristica (o mania) è fondamento delle donne, definite da Harry, ad alto mantenimento. Però lo stesso Harry alla fine del film, durante la sua dichiarazione a Sally, una delle più belle che si siano sentite, le dice

Adoro il fatto che ci metti un’ora e mezza per ordinare un panino.

Ora "mania"? o come dice Sally "voglio le cose a modo mio". 

E ammettiamolo la gola è anche un po' pignoleria... o no? 

La ricetta 

Seguendo Sally ho voluto anche io fare "l’apple pie á là mode", ma "a modo mio". 

Un croccante e sottile guscio di crust pie che racchiude un morbido ripieno di mele, aromatico e profumato alla cannella, vaniglia e limone, e una bella cupola alta che resta così anche in cottura, rendono questo dolce irresistibile! 

Solitamente le mele del ripieno sono le Granny Smith, acidule, croccanti e poco acquose. Ho sostituito parte delle Granny con delle Melannurca, delle piccole, deliziose mele rosse campane, considerate le "regine delle mele" e prodotto I.G.P., hanno la polpa croccante, compatta, bianca, gradevolmente acidula e succosa, con aroma caratteristico e profumo finissimo.

Per fare l'apple pie è consigliabile usare uno stampo da 22 cm svasato, ossia più stretto sul fondo. Lo trovi in commercio proprio come stampo per apple pie, ma in mancanza anche uno stampo tipo quello per la pastiera, ossia con i bordi non troppo alti andrà bene lo stesso.

Importante rispettare i tempi di riposo, non saltare i passaggi per la perfetta riuscita della torta.

Il risultato è stato un successo: l'ho servita leggermente tiepida con una quenelle di panna montata poco zuccherata e una spolverata di zucchero a velo vanigliato e cannella.

Sally la sapeva lunga, questa apple pie à la mode rientrerà tra le preferite di casa.

American apple pie à la mode


Ingredienti

Per la crust pie

250 g di farina per dolci
160 g di burro freddo a pezzetti
10 g di zucchero a velo o semolato fine
90 g di acqua ghiacciata
10 g di aceto di mele
4 g di sale fino

Per il ripieno

2 mele Granny Smith
8 Melannurca
50 g di zucchero semolato fine
15 g di farina per dolci setacciata
15 g di panna fresca liquida
succo di un limone
2 cucchiaini di cannella
buccia grattugiata di 1/2 limone
1/2 cucchiaino di estratto di vaniglia (o i semi di 1/2 bacca)
2 g di sale 

Per la finitura

1 uovo leggermente battuto
15 g di latte intero
15 g di zucchero semolato 

Per servire

panna montata poco dolce o gelato

Prepara la crust pie. In una ciotola, unisci la farina setacciata con il sale e lo zucchero. A parte mescola l'acqua ghiacciata con l'aceto di mele.
Con la planetaria munita del gancio a foglia, o a mano in una ciotola e aiutandoti con le lame di due coltelli, lavora brevemente il burro freddo con gli ingredienti secchi in modo da ottenere un composto sbriciolato. Aggiungi l’acqua con l’aceto e lavora velocemente fino ad amalgamare tutto. Forma un panetto, avvolgilo nella pellicola alimentare. Metti in frigorifero a riposare per un paio di ore.

Prepara il ripieno. Lava le mele, asciugatele, tagliale a pezzetti più o meno regolari. Trasferiscile in una ciotola e mescolale con lo zucchero, il succo e la buccia di limone, la farina, la panna, la cannella e la vaniglia. Copri con pellicola e fai macerare per 30 minuti circa.

Rivesti lo stampo con carta forno. Dividi la pasta in due porzioni, una più grande e una un po’ più piccola. Stendi l'impasto più grande sul piano di lavoro leggermente infarinato, questo sarà la base, a 3 mm circa. Rivesti la base dello stampo. Elimina la pasta in eccesso e rifinisci i bordi lasciando qualche millimetro fuori dallo stampo. Bucherella il fondo con i rebbi di una forchetta e trasferisci in frigo per 10 minuti. 

Un consiglio: mantieni la pasta molto fredda tra un passaggio e l'altro.

Passato il riposo in frigo, aggiungi il ripieno di mele formando una cupola alta. Se serve aiutati con le mani compattando bene le mele e spingendo verso l'alto, non dovranno esserci spazi vuoti, altrimenti in cottura faranno sgonfia la cupola. 

Stendi l’altra porzione di crust pie, sempre a 3 mm circa, e sistemala sulle mele. Chiudi bene, sigilla i bordi e taglia la pasta in eccesso. 

Metti la torta in frigorifero per 15 minuti. Ora puoi realizzare un bordo decorato, fai quella che preferisci. Puoi anche semplicemente pizzicare il contorno con il pollice e l'indice, o arrotolare e pizzicare. Quello che ti suggerisce la fantasia. Poi rimetti in frigorifero la torta per almeno 1 ora, questo passaggio è importante per farle prendere una forma perfetta.

Nel frattempo preriscalda il forno a 175° C in modalità statica.

Dopo un'ora riprendi l'apple pie, spennella la superficie con l'uovo sbattuto con il latte, poi cospargi con lo zucchero. Con un coltello dalla lama liscia fai 5 tagli sulla superficie, come una stella o un fiore, servirà a far uscire il vapore in cottura.

Inforna nel ripiano medio-basso del forno, e cuoci per 50-60 minuti. Se la superficie dovesse scurirsi troppo, copri la superficie con un foglio di alluminio per alimenti, se invece non è ben caramellata fai gli ultimi 10 minuti con il grill e sposta la torta nel ripiano basso.

Trascorso il tempo di cottura spegni e lascia la porta del forno aperta per far raffreddare l'apple pie.

Prima di servirla devi lasciarla riposare almeno 5 ore, meglio 12 ore per avere un taglio perfetto e consentire agli aromi di amalgamarsi.

Per servirla "à la mode" scaldala un pochino e accompagnala con una pallina di gelato o di panna montata poco dolce.

Spolverizza con zucchero a velo e poca cannella.

La torta si conserva fino a 3 giorni in frigorifero.


American apple pie à la mode con panna montata e cannella

#frameofbreak

Ti invito ora ad andare a curiosare le torte delle mie amiche, che con me hanno festeggiato il World Cake Day.

Gioia ha preparato la torta paradiso, di Iginio Massari, ha appena fatto in tempo a sfornarla che era già andata a ruba per merenda. Nata a Pavia sul finire dell’ 800 dalle mani sapienti del pasticciere Enrico Vigoni, fu definita da un cliente “torta del paradiso” per la sua consistenza leggera ma piena di gusto: da quì il suo nome.
Gabriella ha sfornato una torta tenerina, golosa e umida, chiamata anche Torta Montenegrina in onore di Elena Petrovich del Montenegro, principessa che divenne moglie di Vittorio Emanuele III di Savoia, diventando poi Regina d’Italia, che Gabriele D’Annunzio chiamò la "Principessa d’Oltremare", per la sua gentilezza e la bontà d’animo.

Created By lacreativeroom