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30 ottobre 2025

La cucina delle meraviglie di Tim Burton: tra cibo gotico, follia e poesia del gusto

La cucina delle meraviglie di Tim Burton: tra cibo gotico, follia e poesia del gusto

cartellone The world of Tim Burton scattata sul cancello della Mole Antonelliana, Torino, foto di Gabriella Comini


Tim Burton è uno dei registi più iconici, visionari e riconoscibili della cinematografia contemporanea. Famoso per il suo stile unico e per la capacità di mescolare elementi dark, gotici e fantastici, l'irriverente, l'esuberante, con un irresistibile umorismo grottesco, Burton esplora costantemente i temi dell’emarginazione, dell’identità e della solitudine.

Tra i molti aspetti che definiscono la poetica e l’estetica dei suoi film, uno dei più sottili e affascinanti è la cucina: spesso presente in modo surreale, gioca un ruolo centrale non solo come elemento narrativo, ma anche come simbolo di relazioni umane, follia e trasformismo. 

Il cibo, nei suoi mondi, non si limita a soddisfare un bisogno fisiologico: diventa veicolo affettivo, simbolo di trasformazione, segno del consumismo e della disfunzione sociale.

Burton è un geniale creatore di universi bizzarri, in cui anche la cucina si trasforma in un territorio di invenzione e meraviglia. La sua “cucina delle meraviglie” non è fatta solo di ingredienti stravaganti, ma di atmosfere dove il cibo diventa proiezione della sua visione artistica e specchio della sua estetica inconfondibile.

Si dice che "siamo ciò che mangiamo": e allora, cosa dicono i piatti dei film di Tim Burton dei suoi personaggi?


La cucina come magia e metamorfosi

In Alice in Wonderland (2010), il mangiare e il bere sono strumenti di metamorfosi fisica e psicologica: Alice cambia dimensione e percezione, mentre Tim Burton gioca sulla contaminazione fra conoscenza di sé e esplorazione del mondo. Infatti il cibo non soltanto nutre ma è anche un mezzo che cambia e contamina la conoscenza di sé e del mondo.

Questa alterazione della realtà attraverso il cibo simboleggia il passaggio dalla fase infantile alla maturità e la ricerca dell’identità personale. Alice per scappare alle convenzioni del suo mondo si rifugia nel Sottomondo (un dedalo della propria mente tra sogni e incubi e realtà), con tutti i giochi di parole e nonsense tipici carrolliani in un’ambientazione tipica burtoniana e humour inglese.
La scena del tè del Cappellaio Matto è l’emblema di una convivialità caotica e delirante: una tavola che anziché confortare disorienta, dove il tè diventa rito di follia e ribellione.


rito del tè del Cappellaio Matto

Anche nel castello marmoreo della Regina Bianca ritroviamo un laboratorio culinario di magie, pozioni e ingredienti improbabili: un cucinare che mischia sapienza, ironia e trasformazione.

la cucina della Regina Bianca


In Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali (Miss Peregrine’s Home for Peculiar Children, 2016), il cibo è ripetizione, rituale sospeso. Nel tempo immobile del loop, la stessa cena si ripete eternamente: tacchino, purée e cavoletti, mentre i mostri si nutrono degli occhi dei bambini. Il nutrimento diventa qui visione, potere e perdita: un cibo che alimenta e insieme annienta.

Le forze malvagie ambiscono alla vita eterna, dei mostri giganteschi e scheletrici, invisibili alla maggior parte delle persone, senza occhi, cercano i ragazzi dai poteri speciali per nutrirsi dei loro occhi con lo scopo di poter riacquistare un aspetto umano e mantenerlo. 

Tema ricorrente nel cinema quello degli occhi. Qui Burton unisce il tema della visione, del vedere e del non vedere (dove si nascondono i mostri), con il trauma del perdere gli occhi. Nella battaglia finale i ragazzi dai poteri speciali rendono finalmente visibili al mondo i mostri cattivi bersagliandoli con palle di neve, coriandoli e zucchero filato.

cena Miss Peregrine e la casa dei ragazzi speciali di Tim Burton


Il cibo come elemento grottesco e surreale

Ne La sposa cadavere (The corpse bride, 2005), Burton trasforma la cucina in un regno dell’assurdo. La tavola dei morti è più vivace, ironica e umana di quella dei vivi

Al colorato e caotico mondo dei morti si contrappone silenzio e imbarazzo. Tim Burton si è ispirato alla tradizione messicana e agli scheletri bianchi (chiamati calaveras) che alla fine diventano dei dolcetti deliziosi e colorati. 

Il cibo nel mondo dei morti è rappresentato in modo eccentrico e giocoso; le portate sono tanto spettacolari quanto inquietanti, e tutto ciò che riguarda il cibo sembra essere pervaso dalla stessa atmosfera di morte e rinascita che caratterizza il regno sotterraneo. 

Il cibo diventa un mezzo per unire il mondo dei vivi e dei morti, ma rappresenta anche la separazione tra i due mondi e allo stesso tempo diventa un simbolo di potere, di potenziale riscatto, di un amore che supera la morte stessa.

La scena in cui Emily prepara la torta è simbolica della sua ricerca di un amore che non ha mai avuto, un suo desiderio di connessione che risalta il contrasto tra i due mondi. La preparazione culinaria diventa quindi un atto simbolico di unione, un rito che rappresenta il passaggio tra i due mondi, l’uso del cibo come mezzo di comunicazione tra il mondo dei vivi e dei morti con l’intento di superare la separazione e allo stesso tempo accentua il tema della morte.

La torta nuziale di panna e tibie ne è l’emblema — un matrimonio di dolcezza e macabro, perfettamente burtoniano.

Il cibo come rappresentazione del consumo e dell’alienazione

In Charlie e la fabbrica di cioccolato (Charlie and the Chocolate Factory, 2005) la fabbrica di Willy Wonka è una sinfonia di tentazioni, e il cibo diventa allegoria del consumismo. 

La rappresentazione del cibo diventa una critica nei confronti di una società sempre più ingorda e superficiale, priva di valori solidi, misantropa e asociale sui vizi della nostra società che subisce cibo, gare, oggetti e tv. È anche un commento ironico sulla produzione di massa, sulla standardizzazione del cibo e sull’alienazione che ne consegue. I personaggi sono inghiottiti dal mondo del consumismo, come se il cibo fosse una trappola, un qualcosa di irresistibile che però non porta un reale piacere.

La fabbrica di Willy Wonka è un luogo magico dove ogni prodotto alimentare ha un effetto straordinario sui bambini che visitano il posto. Il cibo non è solo un bene consumabile, ma una porta verso mondi fantastici e, talvolta, pericolosi. Ogni ingrediente ha il potere di cambiare chi lo consuma, creando una riflessione sul consumismo e sulla ricerca del piacere.

La fabbrica è un luogo magico, in cui tutto, ogni tipo di alimento rappresenta una forma di alchimia, e il cibo assume una dimensione straordinaria e simbolica. La possibilità di creare cose speciali, straordinarie: partendo da ingredienti comuni mostra come la cucina diventi un simbolo di invenzione e creatività, ma anche di eccesso e desiderio senza freni. È una sorta di regno incantato dove il cibo non solo è abbondante ma sembra possedere una vita propria. È un microcosmo dove la magia è alla base di ogni ricetta, e ogni elemento ha il potere di cambiare la vita di chi lo consuma. 

Le leccornie, e il cioccolato, sono simbolo dei desideri, vizi e trasformazioni, ogni morso sembra portare i bambini verso un destino che riflette i loro caratteri. Il cibo diventa quindi una sorta di giudizio morale che evidenzia la natura egoista o viziata dei protagonisti. La fabbrica diventa un mondo parallelo dove la cucina diventa magica e surreale, una metafora della potenza della fantasia, della produzione in serie e del consumo irrazionale. Il cioccolato, normalmente associato al piacere e alla sensualità, qui assume una dimensione quasi alchemica, mescolando magia e consumismo.

Nel film ritroviamo il potere magico del cibo: dolci incredibili e fantasiosi come i croccantini piliferi che fanno crescere i capelli, o la gomma da masticare che contiene un pasto completo dalla zuppa alla torta di mirtilli. Willy Wonka con il suo aspetto eccentrico, crea punizioni folli per selezionare il suo vincitore del premio speciale.

In tutto questo mondo dolce a contrasto troviamo la solita zuppa di casa Bucket, un piatto poverissimo, che troviamo tutte le sere a casa di Charlie. La zuppa che la Mrs Bucket prepara è sempre la stessa, una zuppa di cavolo, che all’occorrenza si può “allungare”. Ma a dispetto della povertà il clima familiare è sereno, l’importante è condividere quello che si ha. La zuppa, la sua confortante familiarità, che restituisce la dimensione più autentica del nutrimento, la convivialità come forma d’amore, è quello che ritroviamo alla fine del film quando l’ascensore volante riporta Willy Wonka e Charlie dalla famiglia.

La cucina come rifugio e solitudine

In Big Fish (2003), la cucina è spazio del racconto familiare: un luogo dove il cibo diventa memoria e riconciliazione.

Il film esplora la relazione tra padre e figlio e la cucina assume un ruolo simbolico, un luogo di riflessione e riconciliazione. La scena in cui il protagonista racconta la storia di una "meravigliosa" preparazione di un piatto esotico diventa una riflessione sulle leggende familiari e su come il cibo sia legato ai ricordi di una vita passata, quasi come un simbolo di ciò che rimane impresso nella mente.

La preparazione dei piatti diventa la metafora delle storie che si raccontano e delle leggende familiari, dove il cibo non è solo nutrimento fisico ma anche simbolo di legami e racconti che si tramandano nel tempo. La cucina, anche se è una parte integrale della vita familiare, è anche uno spazio in cui la protagonista trova rifugio dalla frenesia del mondo esterno. Il cibo diventa un rifugio emotivo, e la cucina in un simbolo di cura.

In Batman (1989) la zuppa viene servita durante la cena tra Bruce Waine e Vicky Vale. Sono seduti a capotavola di un lunghissimo tavolo che li separa fisicamente ma anche significa un ostacolo di tipo sentimentale. Si sentono i cucchiai tintinnare nei piatti di porcellana bianchissima. Devono urlare per sentirsi, finché non si spostano in cucina, un ambiente più caldo, seduti vicini e complice qualche bicchiere di buon vino, ecco che la serata cambia completamente.

cena Batman


Ma la zuppa in Batman - il ritorno (Batman Returns, 1992) è anche qualcosa di confortante come la vichyssoise che Alfred serve a Bruce Waine nella bat-caverna. Bruce Wayne la prende distrattamente. Sta leggendo il giornale da un monitor e lo confronta con vecchie edizioni. Non ha posto dove appoggiare in piatto. Porta il cucchiaio alla bocca, e sputa immediatamente. Ammonisce Alfred dicendo “è fredda”. Impassibile Alfred risponde “è vichyssoise signore, va servita fredda”. Confortato dalla spiegazione Bruce Wayne mangia di gusto, senza staccarsi dal lavoro. La scena sottolinea il savoir faire e la cultura del maggiordomo rispetto a Batman. Ma questo ci rende più simpatico l'eroe, ce lo rende umano. Inoltre evidenzia il rapporto familiare con il maggiordomo.

I personaggi come Pinguino e Catwoman mangiano quello che ci si aspetta dagli animali di cui hanno il nome: pesci crudi per Pinguino, mentre Selina beve direttamente dalla bottiglia il latte, avidamente e sensualmente, lasciando cadere la bevanda sul mento e sul petto. Ma la scena che esprime al meglio la natura felina di Catwoman è quando, davanti agli occhi di Pinguino, gira intorno alla gabbia contenente un canarino, e se lo mangia. Alle minacce di Pinguino apre la bocca e lascia volar via l’uccellino. Il regista vuole porre l’accento sul mondo animale e eliminare l’umano. Non ci sarà nessun vincitore ma resta Batman avvolto dalla sua solitudine e malinconia.

Batman Returns la scena con Alfred e Bruce Wayne e la zuppa vichyssoise


In Nightmare Before Christmas (1993), nato dalla mente, o meglio zucca, di Tim Burton, tanto che si vedono anche nel titolo e regnano sovrane. Un film a cavallo tra Halloween e il Natale. Qui il protagonista Jack Skeletron è il re della città di Halloween ed è innamorato di Sally, la bambola di pezza, che per sfuggire al Dr. Finkelstein prepara una zuppa alla belladonna, invitante ma letale.

La zuppa di Sally è insieme gesto d’amore e ribellione: un cibo che cura e uccide, trasposizione della sua dolce vendetta.

Il film tocca delle tematiche importantissime come la solitudine, l’emarginazione interiore, la crisi di identità, il valore delle proprie origini, la diversità e l’accettarsi, il cambiamento, e lo fa nel modo più semplice e bello che esiste: con una favola gotica. 

Tra tutti i film di Tim Burton, forse questo è quello più autobiografico, affine ai mostri innocui di Beetlejuice e al triste eroe di Edward mani di forbice.

Il film ha anche un ricettario ufficiale ispirato dal film contenente varie ricette tra snack, contorni, antipasti, piatti principali, dessert e drink, “Nightmare Before Christmas Cookbook & Entertaining Guide” scritto da Kim Laidlaw, Caroline Hall e Jody Revenson.


Nightmare Before Christmas zuppa di belladonna


In Edward Mani di Forbice (Edward Scissorhands, 1990), la cucina è impossibilità e desiderio: Edward non può cucinare con le forbici, ma attraverso di esse crea bellezza. 

Il cibo non solo rappresenta il tentativo di Edward di inserirsi nel mondo borghese, ma anche la sua natura non convenzionale. Edward al posto delle mani ha delle forbici, il suo creatore non ha fatto in tempo a finirlo, e non può cucinare come tutti gli altri. L’incapacità di Edward di gestire le sue mani di forbice diventa la metafora di un’umanità che purtroppo gli è negata. La preparazione di un pasto, anche semplice, diventa un atto carico di emozioni, rappresenta il desiderio di Edward di integrarsi nella comunità, di farsi accettare. Quando ci prova non riesce a usare gli utensili da cucina in modo convenzionale: ha la capacità di trasformare il cibo in opere d'arte, ma anche in qualcosa di strano. La carne tritata e il panino, tagliato in modo strano, bizzarro, sono una metafora del suo essere incompleto e di come il mondo lo vede come outsider. Il cibo diventa così una forma di creazione distorta e disorientante, che riflette l’incapacità di adattarsi agli altri e la solitudine del protagonista. I momenti in cui Edward viene accettato dalla famiglia e dalla comunità ruotano intorno ai piatti di carne. Nella scena del barbecue Edward conquista il favore delle casalinghe, pettegole e invidiose (le desperate housewife) con le casette tutte uguali. Le mani affilate di Edward diventano degli spiedini, e questa caratteristica è un qualcosa da esibire. Ma proprio in questa scena c’è la sintesi di tutta l’ideologia di Tim Burton che mostra rituali comuni e comunitari, che dovrebbero trasmettere collettività e aggregazione, ma che invece si contrappongono alla costante difficoltà del protagonista di riuscire a essere accettato e che viene sempre visto e considerato come diverso.

Edward Mani di Forbice di Tim Burton barbecue


In questo film i dolci sono una componente essenziale che compaiono già nei titoli di testa. Non manca l’uso di metafore dolciarie: durante il primo incontro tra Peg ed Edward lei gli dice “Non avere paura, sono più innocua di una torta di ciliegie”. 

La macchina che ha dato la vita ad Edward è anche la macchina da mangiare e in particolari dei biscotti.

A simboleggiare la centralità del dolce il cuore stesso di Edward è fatto di biscotto, dolce e fragile che si può spezzare e sbriciolare in mille pezzi, la più delicata delle metafore burtoniane.

scena dal film Edward Mani di Forbice cuor di biscotto di Tim Burton


La cucina come follia e distacco dalla realtà

In Beetlejuice - spiritello porcello (1988), il cibo e la cucina sono usati per esplorare la follia e la disconnessione della realtà. 

La cucina della casa di Adam e Barbara Maitland è un luogo che riflette la loro difficoltà nell’affrontare la morte e l’idea di vita nell’aldilà.

La scena della cena con i Deetz, una delle più esilaranti che possiamo ricordare, si mescolano umorismo nero e l’assurdo, e si trasforma in un vero e proprio incubo grottesco. La cena, pur essendo un rito sociale tradizionale, viene ribaltata in un momento di disordine, mettendo in evidenza l’irrazionalità di certi rituali e l’assurdità della condizione umana e non segue alcuna logica. 

In una coreografia surreale, i Deetz e i loro ospiti sono seduti a tavola e vengono posseduti da due spiriti e, sulle note gypsy di “Banana Boat Song” di Harry Bellafonte, inscenano una divertente performance, un folle ballo da posseduti. Alla fine il cibo davanti a loro prende vita: il cocktail di gamberi si anima e inghiotte i volti dei commensali. La convivialità diventa possessione, la tavola palcoscenico del caos e disgregazione della realtà. 

Il cibo non è solo una necessità ma un simbolo del distacco dalla normalità e della disfunzione che caratterizza la vita dell’aldilà. La cucina rappresenta la confusione mentale e l’incapacità di rimanere aggrappati alla realtà, ma anche il desiderio di rimanere legati al passato e alla normalità. Diventa un simbolo di caos e disordine, dove il cibo non è più un piacere ma una fonte di frustrazione e straniamento.

Ma il cibo diventa anche un modo per comunicare. Beetlejuice propone a Lydia un rebus per farle pronunciare il suo nome (in quanto lui non può dirlo): fa apparire un gigantesco scarafaggio e un succo di frutta vicino alla ragazza che rendono molto chiaro la soluzione del rebus.

Beetlejuice usa il linguaggio del cibo persino per comunicare: grottesco e ironico, come tutto il suo universo.

cena Beetlejuice


Il cibo delle macchine

In Pee-Wee’s Big Adventure (1985), le colazioni sono orchestrate da marchingegni geniali: un’anticipazione dell’idea di macchina vivente che tornerà in Edward Mani di Forbice

Con un sistema geniale di leve e congegni, come nei cartoni animati, un ventilatore aziona una girandola, che accende una candela, che taglia un filo e lascia cadere l’incudine, che attiva le eliche, che fanno scorrere un uovo in un flessibile di plastica: tutto questo solo per preparare i pancake.

La meccanizzazione del cibo diventa metafora della fabbrica dei sogni – il cinema stesso, e l'uso di tecnologie.

Il cibo come critica sociale

In Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street (Sweeney Todd: The Demon Barber of Fleet Street, 2007), la cucina è un inferno domestico e il cibo assume una dimensione inquietante e tragica, un ruolo ancora più sinistro. È una metafora oscura della vendetta, dell’inganno e della perdita di umanità. In questo caso, il cibo diventa il mezzo attraverso cui i protagonisti si nutrono delle loro stesse azioni distruttive. Il cibo gioca un ruolo cruciale, ma in una chiave decisamente più oscura. 

La famosa scena della preparazione delle “torte di carne” è una delle più emblematiche della carriera di Tim Burton. La cucina di Mrs. Lovett diventa un luogo di morte e vendetta, un simbolo della discesa di Sweeney Todd nell’oscurità della sua vendetta. La carne tritata, un elemento che in altri film potrebbe essere legato alla famiglia e alla tradizione, qui è trasformato in un incubo, una critica alla società e ai suoi meccanismi di sfruttamento. Le torte di carne preparate da Mrs. Lovett, realizzate con carne tritata proveniente dai corpi delle vittime del barbiere, sono un simbolo della discesa nel macabro e della vendetta che consuma i protagonisti. 

Il cibo qui non è più un piacere ma un atto di distruzione, che evidenzia la perdita di umanità, l'abbrutimento dei personaggi, la corruzione morale e l'abbraccio della follia. Il cibo diventa una forma di manipolazione e sfruttamento, una rappresentazione grottesca della società che si nutre di sangue e sofferenza. 

Le torte non sono solo cibo: sono strumenti di morte e vendetta, che contribuiscono a sottolineare la desolazione emotiva e morale dei protagonisti, e allo stesso tempo sono un’illusione di normalità in un mondo altrimenti distorto.

Il nutrimento si rovescia in distruzione, simbolo di una società che divora sé stessa.

scena da Sweeney Todd di Tim Burton dove in primo piano Mrs Lovett cucina il ripieno delle torte e in secondo piano il barbiere


In Mars Attack! (1996), è uno dei film più eccentrici e complessi di Tim Burton: una satira che mescola elementi di fantascienza, umorismo nero e un’ampia dose di surrealismo. Il cibo è usato in modo simbolico per sottolineare il caos, l'assurdità e la critica sociale che attraversano tutta la narrazione, ma anche una critica verso il cibo simbolo americano, il junk food (cibo spazzatura dall’alto contenuto calorico ma dallo scarso valore nutrizionale).

Il cibo è uno strumento per esprimere la disumanizzazione, la violenza e la perversione delle dinamiche sociali. 

I Marziani, con il loro comportamento imprevedibile e distruttivo, invadono la Terra non solo con un attacco fisico, ma anche con un caos simbolico che include il trattamento del cibo e degli esseri umani.

La violenza degli invasori può essere vista come una distorsione del "consumare", un tema che tocca la critica della società consumistica, dove il cibo e le risorse sono sfruttati e sprecati. Il cibo e la cucina sono usati come metafore della società contemporanea, criticando il consumismo, l’ipocrisia e la fragilità delle convenzioni umane. 

In un mondo invaso da alieni distruttori e governato da umani che non sanno gestire né le proprie risorse né la propria umanità, il cibo diventa un veicolo di satira sociale, di disillusione e di caos. 

Gli unici personaggi risparmiati dalla satira feroce sono gli adolescenti cinici e dark come la figlia del presidente o goffi ed emarginati come Richi, il ragazzo del negozio di ciambelle, il Donut’s world, e che salverà il mondo con una semplice intuizione.

Tim Burton da bere

In questo viaggio gastronomico non possiamo dimenticare le bevande.

Anche le bevande nei film burtoniani diventano simboli di ironia e decadenza.

Lo champagne scorre in Batman e lo ritroviamo in Batman il ritorno a siglare la diabolica unione tra Pinguino e Catwoman.

Martini e whiskey fanno da sfondo alle decisioni importanti, o servono a caricature feroci e divertenti in Mars Attack!

Ne La sposa cadavere il brindisi dei morti è un inno alla vita più vero di quello dei vivi.

Conclusione: il cibo come specchio dell’anima

Tim Burton è un regista che cucina emozioni.

Nel suo cinema la cucina e il cibo sono elementi ricchi di simbolismi che si intrecciano con i temi del grottesco, dell’assurdo, e della distorsione della realtà. La cucina non è solo un luogo di nutrimento, ma un spazio dove le regole quotidiane vengono ribaltate, dove la realtà si fa bizzarra e dove il cibo può diventare sia un piacere che una minaccia. 

Tim Burton sa come usare l’immaginario legato al cibo per creare atmosfere che sono allo stesso tempo affascinanti e inquietanti, con un tocco di ironia che rende tutto più affascinante e disturbante al tempo stesso. Attraverso la cucina, il regista, esplora le emozioni e crea un mondo in cui il cibo si allontana dalla sua funzione alimentare e diventa un atto artistico, una porta verso un altro mondo o una metafora della mente umana.

Nel cinema di Tim Burton la cucina è un luogo della mente, dove le regole della realtà si dissolvono e nasce la meraviglia. Il cibo si fa racconto, trasfigurazione e arte.

Dalle zuppe gotiche alle torte di carne, dalle pozioni di Alice ai cioccolatini di Wonka, ogni piatto racconta il lato oscuro e poetico della natura umana, e crea mondi.

Non stupisce quindi che la sua visione abbia stimolato chef e food writer, sono stati scritti libri di ricette che si ispirano ai suoi film, e libri che analizzano la sua opera, anche attraverso la cucina. Proprio partendo dal cibo e dal vino, e sviluppandolo come un menu, è il libro di Francesca Rosso, “Zuppe, zucche e pan di zenzero, la cucina mostruosa di Tim Burton”, Leone Verde edizioni. 

Il risultato è una straordinaria contaminazione tra cinema, arte e gastronomia — la vera “cucina delle meraviglie” di Tim Burton.


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